giovedì 26 dicembre 2019

Al Botegon del vin


Al botegon del vin infondo a via Mazzini qualcuno leggeva "L’urlo" di Ginsberg

Ho visto le menti migliori della mia generazione distrutte dalla pazzia,
affamate  nude isteriche,trascinarsi per strade di negri all’alba in cerca di droga rabbiosa,
hipsters dal capo d’angelo ardenti per l’antico contatto celeste con la dinamo stellata nel macchinario della notte,
che in miseria e stracci e occhi infossati stavano su partiti a fumare nel buio soprannaturale di soffitte a acqua fredda fluttuando sulle cime delle città contemplando jazz,
che mostravano il cervello al Cielo sotto la Elevated e vedevano angeli Maomettani illuminati barcollanti su tetti di casermette

Si faceva finta di essere intellettuali perché facevamo arte 
bevevamo vino rosso e ci si passava una canna 
(che mi faceva anche schifo perché qualcuno ci lasciava lo sputo).

Poi arrivavano le ragazze e leggevano Prevert… 
che palle!

lunedì 16 settembre 2019

Vietato fumare in spiaggia


Sono sulla porta di casa che sto per andare a fare un’uscitina in barca
quando sul cellulare compare l’avviso di un evento al quale devo partecipare
“Mannaggia, oggi è la giornata di non so cosa
e tocca andare a Baia Flaminia a raccogliere i rifiuti in spiaggia”
“Potresti stare qui a lavare i vetri invece di andare a raccattare le cicche degli altri”
Non avrebbe manco torto quindi sto zitto e parto
Quando arrivo trovo un sacco di gente con magliette gialle e cappellino,
hanno già consegnato tutti i guanti,
ne è rimasto solo uno spaiato e mi danno la mano sinistra
o lo metto a rovescio o divento mancino; scelgo la prima.
 Mi assegnano a un gruppo composto da 4 persone,
tre tengono un sacco ognuno, quelli neri per rifiuti industriali
e uno segna su un cellulare cosa abbiamo trovato.
La ricerca è mirata a microplastiche e a cicche di sigaretta
ma se troviamo qualcos’altro va bene uguale.
Si parte e ci mettiamo tutti alla ricerca e con bastoncini
scandagliamo la sabbia alla ricerca dei micidiali e pericolosissimi
mozziconi di sigaretta.
I capigruppo hanno cellulari di tutte le fogge, dal francobollo
al cinemascope  e si capisce subito che chi dirige la faccenda
è uno con un portatile da 50 pollici in cui inserire le cicche e anche i fumatori.
Ogni cicca trovata pare ci sia una festa, uno grida “Una ciccaaa!”
allora il destinatario si fa avanti con la bocca del sacco spalancata
e l’addetto (“l’addetto lui” direbbe Proietti) alle notifiche segna
ripetendo festoso “Una cicca!”.
I bagnanti sono un po’ sbalorditi di trovarsi in mezzo a tutto sto casino
con gente che li guarda di traverso perché si sono azzardati
a fumare una sigaretta in spiaggia mettendo la cicca sotto la sabbia.
Passo davanti a una signora che ha finito di fumare proprio adesso
e mi mostra il mozzicone spento quasi a invitarmi a portarglielo via
“Signora, io lo prendo ma stia attenta a non fumare per la prossima ora
perché da questi rimedia qualche cortellata alla gola!”. Si ride insieme.
Sono capitato in una cava di microplastiche e ne raccolgo una decina
non faccio in tempo a rialzarmi che ho il computerista e il sacchista addosso
allora mi permetto di chiedere come fanno i pesci a distinguere
tra un pezzo di plastica e una scheggia di cozza, loro mi guardano un po’ pensierosi
“Ma invece di fare tutto sto casino per la spiaggia
non si farebbe prima a insegnare educazione alimentare ai pesci?”
“ Ma dai… ma come si fa, mica è possibile!”
Complimenti per l’alto livello di ironia.
Mi chiama Bruno al telefono e mi chiede se posso procurargli una badile,
io ho le chiavi del nostro deposito in Baia e lo vado a prendere,
hanno trovato un tappeto sotto la sabbia e vogliono tirarlo fuori
si scava una trincea che quelle di Asiago gli fanno un baffo,
dopo un po’ che scavano sotto il sole decidono di tagliarlo
e lasciare il resto per il prossimo anno. Prendono i prezioso reperto e vanno via.
Li richiamo per sapere cosa vogliono fare della buca
“La chiude il vento”
Ho capito, la chiudo io, mi ci vuole un quarto d’ora
e alla fine sono sudato come un cavallo (schiuma bianca alle ascelle)
porto a posto il badile e prendo la via di casa.
Preferisco la Meg anche quando è in vena di rompere.
“Andate a fanculo voi, le microplastiche e le cicche”.

Immagine dal web




sabato 13 luglio 2019

La Leti


“Oh Numa, com’è la Leti?”
“Sguilla come ‘na biscia”
Era talmente tanto tempo che si stava insieme tutti quanti
che non si capiva più chi stava con chi
e lei, la Leti stava con me ma solo occasionalmente
e non riuscivo a capire manco in quali occasioni,
poteva essere che un pomeriggio stava addosso a strusciarsi
oppure una sera a ballare stava seduta tutta la serata.
“Va a finire che ci provo”
“Cos’è un annuncio o chiedi il permesso”
Fu così che Bongo incominciò a tampinarla
finché una sera che con la macchina portava a casa un po’ di ragazze
lasciò la Leti per ultima e ci provò sul serio.
Il giorno dopo non parlava e allora chi ho chiesto io il resoconto
“Pareva che andasse tutto bene ma a un certo punto m’ha detto
“Fai di me ciò che vuoi ma sappi che non sarò più tua amica”
“E te cosa hai fatto”
“Ho schiacciato col piede il bottone dello spruzzino del tergivetro
e le ho detto che stava piovendo e toccava andare a casa
lei m’ha detto che potevo tirare su la capotta della Diane
ma ho detto che era rotta e l’ho portata a casa.”
“Ma cazzo è una settimana che ci lavori e butti via tutto così!?”
“Lei era nel sedile dietro e io mi son divertito più a schiacciare lo spruzzino
per tutto il tempo che a fare altro, quando l’ho portata a casa era tutta molla
coi capelli che grondavano acqua e io ridevo come un matto”
Ecco, questa cosa ce la siamo ricordata martedì quando eravamo al bar
e pensare che la Meg non vuole che il martedì io torni in paese.
“Ma vaffanculo”.

giovedì 27 giugno 2019

Pino


Pino sta male, ma mica poco, sta male davvero
e quando l’altro giorno ha sentito suonare il campanello s’è alzato di scatto
e con la pressione già bassa del suo è crollato a terra
però prima di arrivare sul pavimento ha pensato bene di andarsi a sfracellare
le ossa dello zigomo sullo stipite della porta.
La Carla disperata ha chiamato il 118 e
l’hanno portato al pronto soccorso qui sotto casa mia
lei c’ha avvisato tutti e quindi anche Max.
Fin qui non ci sarebbe niente di male, io, come gli altri,
abbiamo chiesto se potevamo andare ad aiutarla
e insomma tutte le cose che si dicono in queste occasioni.
Max no, lui s'è fatto portar su dalla Cri e ha preteso di fare la notte 
in fondo è quello che c’è stato di più insieme, erano compagni di banco
e la Carla alla fine ha ceduto.
Appena l’ho saputo ho chiamato Max e gli ho detto che domattina
passavo a prenderlo per portarlo casa sua a Tavullia: “OK”
La mattina dopo me lo trovo davanti alla porta di casa
“Pino l’hanno portato in Ancona non perché sia grave
ma perché nelle condizioni in cui si trova è meglio un ospedale specializzato”
“Come ha passato la notte?”
“Benissimo, ha dormito tutta la notte”
A ora di pranzo chiama la Carla per aggiornarci
“Pino sta meglio ma è stanco perché non ha chiuso occhio tutta la notte”
“Ma Max m’ha detto che ha dormito”
“Macchè, ha dormito lui, dopo cinque minuti che sono andata via io
s’è messo a dormire sulla sedia con la testa appoggiata sul portavivande.
Russava così forte che durante la notte l’infermiera è venuta a svegliarlo più volte,
gli diceva che teneva sveglio tutto il reparto
e lui insisteva a dire che era sveglio e non russava
Finchè gli ha detto che o sta sveglio o se ne va a dormire fuori".
Ma dico io perché deve fare ste cazzate, lo sa che russa,
lo fa anche in barca e fa tremare anche i muri,
gliel'ho detto un sacco di volte di mettersi quell'apparecchio
ma lui se lo porta dietro e poi lo lascia lì.
Non so se russare dipenda dal peso ma lui con 110 chili di stazza lorda
non solo è ingombrante da vicino ma se russa ingombra anche da distante.


sabato 1 giugno 2019

Vita da cani


Oggi son passato a prendere Max perché lui la macchina non l’ha più
è riuscito a darla allo sfasciacarrozze che manco la voleva
e la Cri non gli da la sua perché dice che lui prende le multe e fa incidenti
e poi dice che non è colpa sua come quando ha messo sotto un extracomunitario
e ha detto che gli si è buttato sotto la macchina mente attraversava le strisce pedonali.
In sostanza mi tocca andare a prenderlo fino a Tavullia
giù nel paese basso dopo la casa di Valentino (Rossi).
Presi da faccende varie abbiamo fatto mezzogiorno
e allora siamo andati dalla Onta (dicesi Unta per la piadina fatta con lo strutto (el distrutt))
a prendere una piadina col prosciutto
ci mette dentro un etto e mezzo d’affettato che pare una bistecca.
siamo partiti con la barca e abbiamo pranzato in pozzetto con piadina e vino,
io ne ho bevuto un bicchiere il resto l’ha scolato lui.
A seguire pennica cullato dall’onda e caffè con la sambuca al risveglio.
Vita da cani.



Nella foto qui sotto si vede bene come l'acqua torbida del fiume 
sia tenuta separata dall'acqua di mare da un maestrale anche leggero, 
a volte si forma addirittura uno scalino che divide le acque.


Saluti alla comunità.



domenica 5 maggio 2019

Pato


“Vale, io quello lo conosco, chi è, lo sai?”
“Certo, é Pato, ti ricordi di Pato?”
“PATOOO”
lui si gira e mi viene incontro e ci abbracciamo
“Ho riconosciuto la voce, sei quel monello di Numa,
ti ricordi che chiamavi tutti monello?”
Con la Valeria non si parla più da un pezzo di ricordi,
ci vediamo spesso, quando non sto bene a casa vengo a Verona a trovarla
ma con Pato che non ci si vede da una vita è diverso,
ci ricordiamo i pomeriggi passati al “Botegon del vin”
in fondo a via Mazzini e le corse nella pista  delle automobiline dietro l’arena.
Si chiamava (e per fortuna si chiama ancora) Patrizio Costi
e era della sezione A ma eravamo spesso insieme,
lui veniva nella nostra classe perché stava meglio con noi,
a scuola tutti lo chiamavano Pato,
era il nome che gli avevamo affibbiato io e Vecchietti
ma pochi sapevano il perché e quando il prof. di matematica Silipprandi
(detto Liutprando re dei Longobardi e primo re d’Italia)
gli chiese il motivo di quel soprannome
credendo che fosse l’abbreviativo di Patrizio, lui rispose
“Perché cago poco prof.”
Lì per lì il Liutprando, ci rimase un po’ male
ma poi cominciò a ridere e non si fermava più
roba da rotolarsi sulla cattedra ripetendo di continuo
“Costi Pato… Costi Pato … Costi Pato
Chi cavolo t’ha messo sto soprannome di merda?”
“Quei due stronzi prof”.

domenica 21 aprile 2019

Gigi farmacista


Gli ultimi tempi s’era ormai rassegnato
e pensava alla vedovanza come a una liberazione
“Non fraintendermi ma quando arrivi ad un certo limite non ne puoi più”
Tutti i giorni era di fianco al letto a vederla consumarsi.
Un giorno ho incontrato una amica che fa l'infermiera e chiacchierando
m’ha detto che nessuno l’avrebbe curata come ha fatto lui,
a volte le ragazze della scuola infermieri piangevano a vederli in camera.
“Non una liberazione per me ma per lei, volevo che mi lasciasse
e non riuscivo a pensare come avrei fatto a vivere senza lei
sono sentimenti che non riesci a governare, sono contrastanti
e non ci capisci niente, io non sono tanto letterato da raccontarli nel modo giusto.
Poi è finita e mi son ritrovato solo e è stato anche peggio,
era come se lei mi avesse piantato, mi son sentito come un uomo tradito
a volte l’ho persino odiata ma poi mi dicevo che non era possibile
odiare chi ho amato per 40 anni e c’ho diviso una vita”
“Mi dicono che vai a messa”
“No, non sono diventato credente, vado in chiesa, quello si, vado in chiesa,
è che nelle chiese si trova quella pace che si può trovare
un po’ anche nelle biblioteche solo che lì ci si isola meglio
e si può invocare qualcosa che altrove non si può.
Ho cominciato ad andarci quando mia moglie stava male,
entravo, mi sedevo su una panca e stavo lì a pensare
che forse chiedendo coraggio a me stesso e invocando aiuto
è possibile che saremmo riusciti a venirne fuori.
Non era un chiedere a un dio inesistente, era un chiedere e basta,
forse alla natura o forse a me, all’aria non so,
il pensiero che ci fosse qualcuno che potesse aiutarci mi dava serenità
e in quei giorni ho scoperto che solo lì e in parte nei cimiteri
si riesce ad avere quel raccoglimento, quella pace che ogni tanto cerco ancora.”
Mi raccontava queste cose mentre stavamo seduti al bar dopo anni che non ci si vedeva,
ci siamo ritrovati perché quando la moglie s’è ammalata è tornato a vivere in paese.
Abbiamo passato insieme gli anni in cui lui faceva farmacia
e s’andava insieme al giardino botanico a seguire le lezioni
io stavo con lui anche se non ero iscritto e a ogni diapositiva che la prof ci mostrava
mi alzavo a chiedere chiarimenti o esclamavo “Bellissimo!”
oppure “Ci rifaccia vedere quello di prima… no, non quella, quella di prima ancora”
Lei era contenta di tanto entusiasmo e gli studenti ridevano
mentre Gigi mi tirava giù un braccio per  farmi mettere seduto.
Poi si tornava in paese con la mini rossa e mettevamo l’orologio
“Pronti… via, oggi facciamo il record”
A volte facevamo la scorciatoia che aveva qualche chilometro di sterrato
e lasciavamo dietro una nuvola di polvere e le donne di San Gregorio
correvano a prendere i bambini dalla strada o a raccogliere i panni stesi
e c’insultavano quando passavamo.
 
“Adesso sto con la Pinuccia, ci siamo trovati l’anno scorso alla gita della Faum*
e dopo 5 anni di solitudine  ho pensato che forse un po’ di compagnia
avrebbe fatto bene a tutti due, Maupassant dice che lo scapolo deve essere
giovane, curioso e avido e io non son più nessuna delle tre.
Siamo andati in giro a fare dei viaggetti, prima di un giorno
a Gubbio, Assisi o Perugia poi anche un po’ più lunghi
ma abbiamo sempre dormito in camere separate finché una sera
lei mi ha detto che forse potevamo anche andare nella stessa camera,
avremmo anche risparmiato e così abbiamo dormito nello stesso letto,
abbiamo fatto il cucchiaio”
“Che roba è il cucchiaio?”
Lui mi guarda e crede che io abbia pensato ad una posizione da kamasutra (infatti…)
“Scemo, è come stare sulla sedia solo che stai orizzontale”
“Si, si certo ho capito”
“Ma non l’ho toccata, poi la mattina ho trovato il coraggio e gliel’ho detto”
“Detto cosa” non nascondo che essendo arrivato alla settantina
forse aveva perso interesse.
“Le ho detto che non ce la facevo, io amo ancora mia moglie 
e non riesco a pensare di farlo con un’altra donna anche se lei non c’è più”
“E lei?”
“Lei ha capito e m’ha detto che alla nostra età non c’è bisogno di fare i ragazzi
si può stare insieme da affezionati e così abbiamo deciso
che per adesso qualche volta si può dormire insieme
poi si vedrà se sarà il caso di andare a vivere nella stessa casa.
L’amore da ragazzi è felicità perché non c’è niente che si mette tra la vita e l’amore
è vita totale e purezza del sentimento,
alla nostra età le storie di ognuno si fanno pesanti e frenano l’espansività,
forse c’è più affettuoso rispetto e magari è proprio quello che andiamo cercando”.
“C’è ancora tempo per volersi bene, non è solo ‘ come lo chiami te,
credo che alla nostra età ci sia il tempo ancora per un amore che non sia di seconda mano”
“Il tempo Numa ormai è quello delle cose che ci siamo messi intorno
e che ci fanno ricordare come siamo stati,
lo sai che io il futuro non riesco a pensarlo se non al prossimo fine settimana
o al massimo fra dieci giorni quando mi verrà a trovare mia figlia?”
 
“Io Gigi, non ho mai pensato che potessi avere un amore così intenso
eri matto come un cavallo, insieme ne abbiamo fatte da galera
e adesso ti scopro così innamorato di tua moglie”
“Perché te non lo sei?”
“Non sto facendo un confronto, ti sto dicendo che conoscendoti
come t’ho conosciuto io non avrei creduto che fossi così
Quando eravamo ragazzi ne avevi tre alla volta
come potevo credere che fossi cambiato così?”
Per tutto il tempo ha rigirato il caffè nella tazzina e poi m’ha detto
“Ti ringrazio del caffè ma non mi va, l’ho preso per farti compagnia  ma non mi va
sarà per un’altra volta, quando ci vediamo?”
“Martedì, io son qui tutti i martedì”
“Allora a martedì mattina, ciao”
Da quando ho ricominciato a camminare senza stampelle ho deciso
che tutti i martedì mattina vado al paese, mi mancava,
mi mancavano i muri che conosco, le strade, il bar e la gente che mi saluta
mi mancavano gli amici con cui son cresciuto e perfino le chiese coi quadri.
E passando per le strade sento le mie tracce,
quelle che ho lasciato crescendo tra sti vicoli,
mi vengono in mente le scorribande chiassose da bambini
e i baci furtivi negli androni dove le parole rimbombano anche se dette piano
quando le sottane son diventate più importanti dei palloni,
sento le voci che vengono giù dalle finestre 
senza capire il discorso ma sentendo le parole
sono le nostre parole, quelle del nostro dialetto 
stampate sulla nostra carta di identità
e  gli odori dei sughi e dei soffritti, il rumore delle tavole che s’apparecchiano
e mi dico che Gigi ha ragione a essere innamorato così intensamente di sua moglie,
l’amore se ti prende davvero è una cosa che la ragione non mette da parte
ma certo che lo capisco, lo capisco benissimo,
perché anch’io sono uguale a lui e me ne sono accorto tardi,
ci voleva Gigi ad aprirmi gli occhi e a farmi capire che sono
profondamente innamorato di questo mio depresso paese.
 
*) Federazione Alpinisti Umbro Marchigiani antico sodalizio 
composto ormai da ultranovantenni che l’unica escursione che fanno è quella
del pranzo dell’Epifania.

lunedì 8 aprile 2019

Salute e altre faccende


M’ha telefonato la Valeria, ci uniscono gli anni di liceo e una cotta
ma mezzo secolo ci ha fatto diventare due
che si divertono a ridere delle proprie disavventure.
M’ha chiesto com’è il bicchiere ho risposto che:
“Visto da fuori è più pieno che mezzo, visto da dentro…
adesso cerco il bicchiere che non so più dov’è e poi ti fò sapere”.
In realtà il bacino pare sia a posto ma il gomito non riesco ad appoggiarlo,
la mano è gonfia, le dita non si piegano perché sembrano salcicce e
il polso si piega solo con un bel dolore che faccio finta di sopportare.
L’ortopedico (che non capisce un cazzo perché se capiva qualcosa
vedeva che avevo rotto anche il gomito invece s’è accorto tre mesi dopo)
dice che va tutto benissimo ma a me questa ostentazione di salubrità mi puzza un po’
anche perché ha detto la stessa cosa a quello che è uscito prima di me
che camminava tutto sciancato.
Adesso m’hanno dato delle pillole per sgonfiare la mano,
non so se ho preso quelle giuste perché son sempre a far la piscia,
c’ha da esse qualcosa che mi sfugge, i dottori detengono un potere
imperscrutabile per cui capisci quale sia il migliore solo dalla parcella
e anche se la cura non funziona, siccome ti sei svenato per pagarlo
resta comunque il più bravo (se non altro a fregarti i soldi).
Il 2 Maggio partirà la nostra regata fino a Pola e ritorno,
ho chiesto a Max se voleva venire “Ma certo!”
Ma certo che viene, mica paga lui!
Staremo fuori 4 giorni, se non m’arrestano i Croati perché l’ho affogato
vi riferirò al ritorno.                     Se torno.
Perché per me il problema non è partire, a partire faccio svelto,
il problema è il ritorno, anche quando torno a casa dal paese
tergiverso sempre nel parcheggio qui davanti
e non trovo mai la forza di entrare in casa,
e anche quando lavoravo ero quello che usciva per ultimo.
Ma sta cosa non succedeva mica solo a me, il padrone alle sei mi chiamava
e mi diceva se avevo voglia di fare una mano di ramino,
appena si spargeva la voce della ‘serata ramino’ se ne aggregava sempre qualcuno
a giocare o a vedere e si facevano le otto come ridere e se vincevo
trasformavo le ore perse a giocare in straordinario pagato, lui s’incazzava ma
“Boselli, ha perso mica giochiamo le medaglie, è lavoro anche questo!”
tanto io ero sempre quel ladro comunista.
Ieri un vecchio cliente m’ha chiesto se gli do una mano a fare un nuovo modello
di cameretta, gli ho detto che se ha tempo di aspettare gliela do,
“Aspettare fin quando?”
“Fino a ottobre che adesso arriva l’estate e non ho voglia di lavorare”
Se non vado via alla svelta mi mena
ma che soddisfazione lavorare solo quando mi pare!

domenica 24 marzo 2019

31/12/2015


Ieri ero all'ospedale a fare terapia incontro un infermiere che conosco
e mi chiede se mi ricordo quando sono stato ricoverato al pronto soccorso
e cosi ci siamo messi a rievocare quelle ore facendoci delle grasse risate.
Il resoconto della giornata l'avevo pubblicato ma mi piace ripeterlo .


Mancano ancora dieci chilometri
credo che una decina di minuti posso resistere.
Sono fuori città e mi manca il fiato, ho delle fitte incredibili allo stomaco
mi dico che stavolta è una faccenda grossa e mi convinco che è un infarto
non ce la faccio a respirare, prendo un carvasin, è la prima volta, spero funzioni.
Quello davanti a me non si muove, 
s'è fermato in mezzo alla strada per girare e ha bloccato tutti
uno dei soliti paralitici del volante che tengono il piede più sul freno che sul gas
ecco, adesso sono davanti alla porta del pronto soccorso 
mi gira la testa e non capisco più niente.
Mi ritrovo su una barella, uno mi tiene i piedi per aria,
ho una gran confusione addosso e sento che mi chiamano
finalmente sono sveglio e comincio a capire
uno mi dice che non posso lasciare la macchina lì
“Spostala te coglione”
“Non c’è bisogno d offendere”
“Pensavo di farti un complimento”
Ho già una flebo infilzata nel braccio e mi pare di cominciare a respirare
si, adesso sto meglio, dev’essere una flebo d’acqua santa.
mentre mi “lavorano” arriva un’altra barella,
c’è sopra un fagotto che si lamenta perché non gli trovano la vena
dice che vuole che chiamino un esperto
“Io vi conosco, voi non siete capaci a trovarla”
L’infermiera mi dice all’orecchio che viene almeno una volta al mese
perché ha mal di testa ma in realtà non ha niente,
mi giro, la guardo e le faccio un sorrisino e lei risponde,
La conosco, è la moglie del fratello di Ennio,
una di Napoli che prima gliel'hanno fatta sposare e poi l'hanno mandata su,
un po’ sempliciotta come lui e Ennio poretto che li deve badare tutti due.
Mi cambiano stanza e mi mettono in osservazione,
una camera a 6 letti, 3 a destra e 3 a sinistra dell’ingresso
sulla sinistra della porta c’è una signora con figlia
a occhio e croce una ottantina di chili alta una metro e 20
nel letto centrale a destra c’è uno che pare un idraulico con tutti i tubi che c’ha addosso
è attaccato a una macchinetta che emette un bip continuo secondo le pulsazioni.
cerca di fermare ogni infermiere che passa ma sbaglia i tempi
e alza la mano emettendo un rantolo dopo che sono passati
per cui nessuno se lo fila.
“Di che cosa ha bisogno?”
“Ho freddo”
“Ma c’hai la coperta in fondo al letto, perché non la tiri su?”
“Perché m’hanno detto di non muovermi”
“Ma se ti muovi cosa succede?”
“Si sente la macchinetta che va più svelta”
Per me questo è come la cognata di Ennio, mi alzo dalla sedia,
(non mi andava di mettermi sdraiato sul letto) e gli tiro su la coperta
con una mano sola perché con l’altra tengo alta la flebo,
adocchio un paletto per reggere il flacone e lo attrezzo per me.
Dopo un po’ arriva una barella con sopra una montagna,
lo scaricano in tre sul letto davanti al mio, lui si rizza seduto ,
ha una maglietta blu che non riesce a coprire il ventre
tanto che gli sta sulla pancia e lascia l’ombelico di fuori,
chiede di fumare, per la verità non si capisce quel che dice,
si capisce solo il gesto che fa con le due dita vicino alla bocca,
l’infermiere gli dice che non si può ma lui insiste
lo vuol far stare sdraiato ma quello si rialza in continuazione
e ogni volta chiede di fumare.
Leggo sulla casacca dell’infermiere la scritta “PSICHIATRIA”
Mi pareva!
Arrivano due infermieri che gli mettono un sondino su per il naso
vanno avanti un quarto d’ora per farglielo arrivare alla stomaco
poi gliene mettono un altro nel sedere e lì c’è stata una specie di guerra,
sarà anche matto ma al culo ci tiene!
La signora a sinistra dell’ingresso mangia un panino,
lo addenta come fosse un lupo e poi s’aiuta con un dito per far stare dentro il boccone
e mastica per 20 minuti perché ne ha staccato troppo.
Incrocio lo sguardo di Roberto, questo è il nome dell’intubato sui due fronti,
non è molto rassicurante anzi mi pare un po’ minaccioso
spero che l’abbiano sedato.
Lo fanno girare su un fianco e l’infermiere comincia a succhiare con una siringa dal tubo superiore,
succhia e versa in un secchio un liquido denso e marroncino contando le siringate,
nella stanza si espande un profumo che è una bellezza,
la lupa di sinistra imperterrita continua a mangiare,
ogni tanto dà due sgonzate a una bottiglia di coca cola, la figlia le chiede se vuol uscire
lei che mastica a 4 ganasce risponde con la bocca piena che vuole stare lì
e allora esce la figlia con un fazzoletto sulla faccia.
Arriva un’altra barella con un anziano sopra,
dietro lui una processione di parenti che gli chiedono dove sono le carte e i documenti
lui sta a bocca aperta e occhi chiusi senza rispondere e loro insistono,
intanto una infermiera gli sta mettendo un pannolone e qualcuno dei parenti l’aiuta.
arriva anche un altro che per metterlo al posto fanno spostare il siringatore di Roberto
adesso siamo al completo quello di fianco mi dice che sente freddo perché la porta è aperta
penso che se uno si azzarda a chiuderla gli tiro il comodino.
L’infermiere che siringa Roberto mi chiede a che numero era arrivato,
“Cazzo m’hanno fatto perdere il conto”
“Eri a metà”  (perché ogni tanto mi invento queste stronzate ancora non l’ho capito)
“Ah, meno male che le hai contate te”
e ricomincia a siringare.
“Adesso Roberto facciamo un clisterino, fai il bravo che vedrai che dopo stai meglio”
“Abbi pazienza, glielo fai qui?”
“Perché?”
Allargo le braccia per fargli capire che stiamo morendo in una camera a gas,
lui risponde che dobbiamo aprire la finestra poi ci ripensa e porta via Roberto
manovrando il letto come fosse un tir, sbatte sullo stipite già martoriato della porta
e il sedere nudo e sodomizzato di Roberto scompare tra gli spettatori.
Quello di fianco mi dice che sente freddo, cerco un’altra coperta dentro un armadietto,
la trovo e gliela stendo sul letto, adesso si vede solo la fronte con un ciuffo di peli radi
che escono da una montagna di coperte
secondo me nella flebo gli hanno messo azoto liquido.
La lupa continua a mangiare e tra un morso e l’altro chiede alla figlia di metterle la padella
lei risponde che gliela mette dopo che ha mangiato
“La voglio adesso che mi sto pisciando addosso!”
La classe non è acqua!
Il moribondo con il parentado al seguito l'ha fatta e tocca cambiargli il pannolone,
deve essere stato stimolato dalla lupa,
arriva una infermiera che pare una bambina chiede ai parenti di aiutarla a cambiarlo
ma loro sono troppo intenti a chiedere dove sono i documenti
elencando tutti i posti di casa e del circondario,
"Non li avrà mica dati a qualcuno!"
Gli urlano in un orecchio "A chi li hai dati, al notaio?"
Lui sta immobile, con gli occhi chiusi e la bocca spalancata
l’infermiera bambina si rompe le scatole e lascia l’anziano girato su un fianco
col pannolone nuovo che non è riuscita a chiudere
e così tutti possiamo ammirare questo enorme televisore all’aria.
Arriva la cognata di Ennio e si mette a far salotto con il vicino.
Sono le quattro del pomeriggio e mi fanno un altro prelievo.
Entrano un paio di portantini e dicono alla lupa che la devono portare a casa
lei non vuole andare la figlia dice che non si può portarla via perché sta male
loro la prendono di peso e la caricano su una barella e vanno via
la figlia s’attarda a raccattare le cose che sono dentro lo stipetto
mi vien da ridere pensando che la scaricheranno alla pizzeria più vicina.
Si sente un urlo inumano che arriva da fuori, sono Roberto e l’infermiere,
“STA FERMOOOOO”
Non ho il coraggio di pensare cosa sia successo, ma visto quel che facevano
un sospetto mi viene e difatti l’odore che arriva dopo un po' me lo conferma.
Finalmente arrivano due a finire di impannolare  il primo a destra
l’infermiere si incazza coi parenti che non possono stare così numerosi
“Uno solo, decidete voi ma qui ci sta uno solo e alle sei va via”
dopo un po’ di discussioni lasciano la figlia
ma si raccomandano che si faccia dire dove sono i documenti.
E’ arrivata la moglie di quello che fa salotto, gli dice che ha parlato col dottore
e che ha insistito per farlo ricoverare perché fanno capo d’anno in casa loro
e c’è un sacco di gente e nessuno può badare a lui
e con lui in casa si rovinerebbe la festa.
Lui la guarda un po’ interdetto io mi metto a ridere, 
l’azotato ride anche lui da sotto le coperte
la festaiola ci guarda come per dire "Fatevi gli affari vostri"
la cognata di Ennio mi chiede che cosa c’ho da ridere
“Niente, m’è venuto così”
“Te c’hai la faccia da birichino, quando t’incontro per strada ti meno,
guarda che lo faccio, io son di Napoli e noi napoletani le cose che diciamo poi le facciamo,
sta attento”
Sono ormai le 5 e mezza, vedo la faccia di Roberto che guarda dentro la stanza
da dietro il vetro dello spioncino che c’è sulla porta,
potrebbe guardare dalla porta spalancata
ma lui passeggia per il corridoio e ogni volta che passa guarda dentro da lì.
Vado in bagno col mio paletto con la  flebo 
che da parecchio è finita e non manda giù più niente
la finestra del bagnetto dà su un terrazzo che per avere più posto hanno chiuso
e adesso è una stanza adibita a magazzino, dentro c’è una che sta telefonando
io faccio le mie cosine da in piedi e la guardo dalla finestra che c'è sopra il vater 
lei mi vede e  scappa.
Mi vien da ridere pensando che l’unico momento
in cui un uomo non può far male a nessuno è proprio mentre fa pipì.
Entra un dottore in stanza e mi dice che ho contratto un virus intestinale
"In questi giorni abbiamo avuto diversi casi come il suo" 
mi manda a casa perché non è il caso di tenermi lì, stanotte arriverà un sacco di gente
e lui ha bisogno di liberare i posti, 
mi da qualche pasticca se eventualmente avessi ancora dolori.
Mi vesto e vado a casa a piedi, una passeggiata mi farà bene
e poi devo smaltire la sbornia da pronto soccorso
cammino svelto e ogni tanto mi vien da ridere
ripensando a tutto quel che è successo nel pomeriggio
la gente che mi vede penserà che sono scemo,
comunque meglio scemo che infermiere al pronto soccorso a fare il clistere a Roberto.


martedì 8 gennaio 2019

La Sarchiapona



Sono sicuro che sia andata così perché le conoscevo,
le conoscevo bene tutte quattro perché erano sempre a casa nostra
la Mimina, la Diana, lei la Graziella e mamma
e quando lassù è arrivata lei si sono incazzate tutte tre dicendo che come al solito
“Sei sempre l’ultima e tocca aspettare sempre a te”
è andata certamente così, anche per chi non crede che dopo ci sia qualcosa.
La Sarchiapona, come la chiamavamo noi di casa, era la migliore amica di mamma
unite da una sana vita di stenti trascorsi felicemente insieme,
consapevoli che la povertà non fosse una vergogna
ma una occasione per essere contente del poco che arrivava
anche quando non arrivava niente e non c’era niente da mettere in tavola,
“Te apparecchia, quando hai apparecchiato c’hai già mezza cena”.
Mamma vendeva un po' di roba intima in casa,
mutande, canottiere e pizzi al tombolo portati da una vecchietta di Offida
che arrivava con la corriera una volta al mese con una valigia di cartone
in cui custodiva e cercava di vendere le preziose miserie del suo paese,
poco smercio e tanti "Segna che poi te li porto" ,
una mattina arriva lei a comprare un paio di mutande per Chefagg (il soprannome del marito)
mamma gli dà la quarta e lei dice che lui adesso vuole la quinta
"Perché è cresciuto davanti?"
"Magari, lì amò (ormai) non c'è speranza, è il dietro che gli cresce!"
Discorsi di donne che sanno tutto l'una dell'altra
e però ogni volta che vedevo Chefagg pensavo
al davanti rinsecchito e al dietro grasso e ridevo da solo.
Lei aveva una bottega di scarpe e ricordo che una sera
tornando a casa tutto bagnato misi le scarpe dentro il forno della stufa
che a quell’ora ormai era spenta.
la mattina mamma accende la stufa senza accorgersi delle scarpe
così quando mi alzo trovo nel forno due carboncini.
Era domenica e mi toccò andare dalla Sarchiapona in ciabatte,
lei mi diede un bel paio di scarpe e quanto chiesi “Quanto costano?”
mi rispose di dire a mamma che me le aveva regalate lei e che non mi menasse.
Ecco, queste erano le amicizie di una volta.
Amiche loro e amici noi figli, son cresciuto con la Rita e la Stefania
e quando m’hanno telefonato per dirmi che erano diventate orfane
m’hanno chiesto di non andare all’accompagno “Che sei tutto rotto”
Ma non si poteva mancare e quando m’hanno visto tra i banchi della chiesa
mi sono venute addosso che per poco non cadiamo tutti tre.
Era l’unico filo rimasto, adesso è reciso anche quello
e siamo davvero tutti orfanelli e anche se vecchi genitori
cerchiamo ancora a volte inutilmente i nostri.