domenica 19 maggio 2013

La signorina Duval



Allo scoppio della guerra la signorina Duval
era istitutrice presso una famiglia di Napoli
e, siccome era turca di nascita adottata da francesi
e naturalizzata francese, fu internata e mandata al confino in paese da noi,
con residenza dalle suore del Preziosissimo Sangue.
Non avendo nulla di che vivere si adattò a dare lezioni di francese
e ne aveva da fare la signorina Duval perché allora il francese
era la lingua straniera più diffusa nelle scuole
e siccome a quei tempi un bell’esame di riparazione a settembre
non si negava a nessuno, andavamo tutti da lei.
La poveretta quindi passò il resto della sua vita
costretta tra un regime monastico e le nostre zucche vuote.
Quell’anno mi avevano dato solo francese,
nelle altre materie andavo benissimo ma col francese no
non è che non mi garbasse la lingua,
era l’insegnante che…Insomma, le cose andarono più o meno così:
Seconda media, una mattina compito di francese,
la professoressa (allora non si abbreviava) ci detta un compito
da tradurre e io comincio.
Vicino a me c’era Rolando,
il mio amico di sempre, perché era dalle elementari che eravamo compagni di banco.
Finito il mio compito prendo il suo e lo traduco come il mio.
La settimana dopo tornano i compiti corretti,
da me ci sono cinque o sei  errori; voto 3
da lui ci sono cinque o sei errori, gli stessi; voto 4.
Confronto i compiti: sono uguali, stessi errori da me e da lui.
Allora chiedo perché un voto così basso
e perché se sono uguali a lui 4 e a me 3
la risposta fu:
“A te 3 perché mi hai preso in giro e hai fatto il compito di Santini,
a lui un punto in più perché è stato furbo e se l’è fatto fare da te”.
Ho avuto un attimo di esitazione, giuro che l’ho avuto,
poi mi sono alzato, ho aperto la stufa, ho appallottolato il compito,
ce l’ho buttato dentro e son tornato al posto.
Non faccio in tempo a sedermi che si alza Rolando,
apre la stufa appallottola il compito e ci butta dentro anche il suo.
Trambusto generale, la prof. urla come una gallina prima di sgozzarla
 non si capisce cosa dice e tutta la classe urla e ride e alla fine arriva il preside.
4 giorni di sospensione a Rolando e 5 a me che l’ho trascinato  nell’azione sovversiva.
Vennero chiamati i nostri genitori, tanto per comunicare a voce i nostri misfatti.
Mamma non venne Mi scrisse una lettera in cui la sostanza era:
“Che altro hai combinato stavolta?”
E quindi mi furono risparmiate le solite due sberle,
comunque sopperirono i preti che non mi risparmiarono niente
Finita la “vacanza” torniamo a scuola da eroi,
ma con ancora le cicatrici del frustino del Direttore del collegio.
Ovviamente siamo rimandati in francese tutti due.
E’ qui che conosco la signorina Duval che mi da ripetizioni di francese.
Veramente le sue sono strane ripetizioni:
lei mi dà una frase con una montagna di eccezioni e difficoltà
poi si mette alle mie spalle, mentre traduco.
Finché la traduzione è corretta va tutto bene
se sbaglio è un pizzicotto o una sberla o una tirata d’orecchi
a seconda della gravità dell’errore.
Se poi l’errore è grave ci possono essere tutte tre le cose messe insieme.
Credendo che quello fosse un trattamento di privilegio,
dato dall’amicizia che la turca aveva con nonna,
compio una veloce indagine presso i  nemici della lingua d’oca:
nessun privilegio, lo stesso trattamento per tutti e tutti con le orecchie rosse.
A settembre ho fatto un figurone
anche se avevo la coppa rossa e le orecchie di Dracula
L’anno dopo si replica,
ho chiesto invano di barattare il francese con matematica o lettere
ma sono stati irremovibili.
Del resto per tutto l’anno il voto più alto era stato un quattro….
Anche quell’estate trascorse scandita dalle ripetizioni.
Non c’erano le tirate d’orecchi perché ormai ero padrone della lingua
ma una nuova usanza era venuta in voga:
la tazza di latte in polvere che ci propinavano le suore
e le domeniche a messa nella cappella del convento.
Il latte poteva essere messo di nascosto dentro i vasi dei fiori,
ma alla messa non c’era scampo!

Nel corso degli anni vidi poche volte la signorina Duval per il paese.
Usciva poco ed era anche un po’ claudicante
ogni volta mi riservava un affettuoso saluto:
un pizzicotto e due baci sulle guance, tenendomi ben strette le orecchie
tanto per non perdere l’abitudine.

lunedì 6 maggio 2013

Incontro a Livorno



Graziano la chiama "amore" e Luciana gli posa la testa su una spalla,
poi arriva Nicoletta  che porta a Graziano il piatto con gli spaghetti alle vongole
lui ringrazia e comincia a mangiare.
Lei, Luciana, si rabbuia e a me che le sto davanti dice che ha paura,
ha paura di andare in barca domani,
ha paura anche di perdere gli occhiali e poi si mette a piangere.
Roberto cerca di tranquillizzarla dicendole
che non la costringerà nessuno a salire sulla barca,
ma lei piange lo stesso e allora arriva Nicoletta che la fa alzare e la porta fuori.
Lui continua a mangiare, quasi non  sapesse cosa sta accadendogli vicino.
Quando lei  torna è rinfrancata e beve un po' d'acqua.
Lui le si avvicina e le chiede come sta; lei lo guarda negli occhi e gli risponde che adesso va bene; era solo un po' di stanchezza.
Lo  dice anche a noi e poi lo va a dire anche agli altri,
lo dice a tutti:  "Era solo un po' di stanchezza”  e tutti confermano.
Entrambi down, fanno coppia senza sapere cosa sia o forse si.
Io non sono psicologo, ma Roberto lo è e mi spiega quanto  sia forte il loro legame
che però non riesce a superare l'ego di Graziano  davanti ad un piatto di pasta.
Mattia sta in disparte: è un ragazzo pallido, con capelli nerissimi, magro e alto;
dice di avere mal di gola e si vede bene che fa fatica a deglutire;
dice di avere anche la febbre e, a sentirgli la fronte, ce l'ha davvero.
Allora la Nico manda l'Antonia a prendere le medicine nel pulmino
lui s'è già spruzzato uno spray per il mal di gola,
Quando arriva l'Antonia con la borsa delle medicine,
dicendo che le sono cadute in una pozza d'acqua, Nicoletta storce  il naso
ma per fortuna sono in una scatola stagna e la tachipirina è salva. 
Mattia la prende come se ormai fosse cosa consueta prendere pillole.
Antonia si scusa della borsa caduta e comincia a essere un po' nervosa;
dice che Michele sta fumando un'altra sigaretta:
è a metà del secondo pacchetto,
"Non si vive così!" e s'incazza. Lo dice a testa bassa, senza guardare in faccia nessuno;
parla anche con me, ma non mi guarda;
ha un cappello nero con visiera, con una scritta coi lustrini,
orecchini neri che pendono e pantaloni e maglietta neri,  
tutto nero e decorato coi lustrini. 
Le dò la  mano, le dico di non preoccuparsi, che parlerò con Michele
e lo convincerò a non fumare più, almeno per stasera.
E'  borderline e sta in comunità, coccolata da tutti e a volte si pone al servizio degli altri.  Magra e minuta, traspare la  sofferenza che ha certamente provato.
M’intristisce vederla così e piangerei volentieri per lei, se solo servisse.
Stamattina era abbracciata a Nicoletta e le diceva: “Non lo farò più!”
Deve aver combinato qualcos’altro.
Io quella frase non la dico da una vita e credo che dovrei dirla a un sacco di gente,
ma non ci riesco e tiro avanti così.
Michele rientra a tavola, bello coi suoi diciassette anni,
non mangia perché fa una dieta di carne e carne stasera non ce n'è.
Scrive messaggi sul cellulare, 1200/1500 al mese
e spende per telefonate  circa 300 euro (mensili)
"Ma perchè Michi ?"
"Per non perdere i contatti"
Sta litigando con la ragazza e mi dice
che lei  gli aveva promesso di non uscire, invece è uscita.
Sul palco c'è una rappresentazione, si parla dei profughi istriani.
"Sai dov'è l'Istria?"
"No"
"Trieste?"
"No"
“Ma possibile che non sai dov'è Trieste?”
Allora gli spiego un po' di geografia e la storia dei profughi istriani.
Pare ascoltarmi interessato, ma non fa domande,
il telefono in mano vibra e io gli dico di aspettare un minuto che finisco.
"Non posso" e il pollice parte a razzo con una  velocità che non avevo mai visto.
Niente da fare, al telefono non resiste.
"Michi, mangia qualcosa"
"Adesso no, ho mangiato un pezzetto di pizza prima e non mi va niente"
"Ma se ti compro una fetta di carne?"
Mi guarda, non risponde e il dito riparte. 
Ha accanto una ragazzina che lo  guarda in adorazione.
"Michi, ti piace?"
"No, è meglio la mia"
"Ma se l'hai  lasciata..." 
"Quando torno m’ incazzo e la riprendo"
Roberto mi dice piano che, con tutta probabilità, quell'altra non esiste 
e al telefono fa tutto da solo.
"Ma perché se è così bello che potrebbe averne a mazzi?"
“I genitori sono sparpagliati e lui non ha una figura di riferimento 
e quindi se la crea da solo, adesso è una fidanzata ma potrebbe essere chiunque”.
Anna l’ho incontrata stamattina in banchina: era a braccetto con Nicoletta
mi dà la mano, ride e le dice qualcosa all'orecchio.
Poi saprò che le ha detto che ho il baffo malandrino e il sorriso che conquista.
A tavola racconta i suoi viaggi: San Pietroburgo,
col palazzo d'inverno dell'architetto italiano Rastelli
e quello d'estate  dell'architetto Trezzini e anche Nicola Rossi che ha fatto le strade,
i quadri impressionisti e una montagna di altre notizie,
che io manco mi ricordavo o nemmeno sapevo..
Lei invece ricorda tutto, poi il viaggio al Polo Nord con la nave
dentro tutti i fiordi con le montagne a strapiombo e i nomi delle città e dei paesi.
Ora non viaggia più: è morta la madre e lo dice come lo direbbe una donna grande,
aggiungendo anche che ha sofferto tanto (la mamma). 
Era figlia di una famiglia benestante ed è rimasta sola,
adesso è in  comunità, ha sessant'anni, ma i pensieri di una bambina. 
Mi guarda sorridendo  e ogni tanto mi viene vicino col viso.
E’ felice solo se parla. 
Quando tace si fa seria e fa una tenerezza che spacca il cuore.
Non sa che quasi l’invidio, 
mentre lei l’invidia non sa nemmeno cosa sia semplice com’è.
Stamattina li ho salutati tutti: l'Antonia si è girata dall'altra parte.
Michele mi ha promesso che verrà in barca e io gli ho detto che lo metterò al timone.
Luciana mi ha abbracciato, Graziano no: mi ha dato appena la mano.
Roberto dice che è geloso, io gliel'ho stretta con entrambe le mani e gli ho detto grazie, 
lui non ha risposto quasi sapesse di cosa lo stessi ringraziando.
Mattia mi ha dato la mano stando a debita distanza, con fare molto professionale
e Anna mi ha salutato con due baci sulle guance e una carezza.
"Vi voglio bene e voglio rivedervi presto tutti in barca. Ciao!"
Ho pensato che avrei dovuto scrivere di loro e stasera lo faccio
prima che il vuoto di domani diluisca questa emozione
che ancora  tengo stretta per paura di perderla.