Allo scoppio della guerra la signorina Duval
era istitutrice presso una famiglia di Napoli
e, siccome era turca di nascita adottata da francesi
e naturalizzata francese, fu internata e mandata al confino
in paese da noi,
con residenza dalle suore del Preziosissimo Sangue.
Non avendo nulla di che vivere si adattò a dare lezioni di
francese
e ne aveva da fare la signorina Duval perché allora il
francese
era la lingua straniera più diffusa nelle scuole
e siccome a quei tempi un bell’esame di riparazione a
settembre
non si negava a nessuno, andavamo tutti da lei.
La poveretta quindi passò il resto della sua vita
costretta tra un regime monastico e le nostre zucche vuote.
Quell’anno mi avevano dato solo francese,
nelle altre materie andavo benissimo ma col francese no
non è che non mi garbasse la lingua,
era l’insegnante che…Insomma, le cose andarono più o meno
così:
Seconda media, una mattina compito di francese,
la professoressa (allora non si abbreviava) ci detta un
compito
da tradurre e io comincio.
Vicino a me c’era Rolando,
il mio amico di sempre, perché era dalle elementari che
eravamo compagni di banco.
Finito il mio compito prendo il suo e lo traduco come il
mio.
La settimana dopo tornano i compiti corretti,
da me ci sono cinque o sei
errori; voto 3
da lui ci sono cinque o sei errori, gli stessi; voto 4.
Confronto i compiti: sono uguali, stessi errori da me e da lui.
Allora chiedo perché un voto così basso
e perché se sono uguali a lui 4 e a me 3
la risposta fu:
“A te 3 perché mi hai preso in giro e hai fatto il compito
di Santini,
a lui un punto in più perché è stato furbo e se l’è fatto
fare da te”.
Ho avuto un attimo di esitazione, giuro che l’ho avuto,
poi mi sono alzato, ho aperto la stufa, ho appallottolato il
compito,
ce l’ho buttato dentro e son tornato al posto.
Non faccio in tempo a sedermi che si alza Rolando,
apre la stufa appallottola il compito e ci butta dentro
anche il suo.
Trambusto generale, la prof. urla come una gallina prima di
sgozzarla
non si capisce cosa
dice e tutta la classe urla e ride e alla fine arriva il preside.
4 giorni di sospensione a Rolando e 5 a me che l’ho trascinato nell’azione sovversiva.
Vennero chiamati i nostri genitori, tanto per comunicare a
voce i nostri misfatti.
Mamma non venne Mi scrisse una lettera in cui la sostanza
era:
“Che altro hai combinato stavolta?”
E quindi mi furono risparmiate le solite due sberle,
comunque sopperirono i preti che non mi risparmiarono niente
Finita la “vacanza” torniamo a scuola da eroi,
ma con ancora le cicatrici del frustino del Direttore del
collegio.
Ovviamente siamo rimandati in francese tutti due.
E’ qui che conosco la signorina Duval che mi da ripetizioni
di francese.
Veramente le sue sono strane ripetizioni:
lei mi dà una frase con una montagna di eccezioni e
difficoltà
poi si mette alle mie spalle, mentre traduco.
Finché la traduzione è corretta va tutto bene
se sbaglio è un pizzicotto o una sberla o una tirata
d’orecchi
a seconda della gravità dell’errore.
Se poi l’errore è grave ci possono essere tutte tre le cose
messe insieme.
Credendo che quello fosse un trattamento di privilegio,
dato dall’amicizia che la turca aveva con nonna,
compio una veloce indagine presso i nemici della lingua d’oca:
nessun privilegio, lo stesso trattamento per tutti e tutti
con le orecchie rosse.
A settembre ho fatto un figurone
anche se avevo la coppa rossa e le orecchie di Dracula
L’anno dopo si replica,
ho chiesto invano di barattare il francese con matematica o
lettere
ma sono stati irremovibili.
Del resto per tutto l’anno il voto più alto era stato un
quattro….
Anche quell’estate trascorse scandita dalle ripetizioni.
Non c’erano le tirate d’orecchi perché ormai ero padrone
della lingua
ma una nuova usanza era venuta in voga:
la tazza di latte in polvere che ci propinavano le suore
e le domeniche a messa nella cappella del convento.
Il latte poteva essere messo di nascosto dentro i vasi dei
fiori,
ma alla messa non c’era scampo!
Nel corso degli anni vidi poche volte la signorina Duval per
il paese.
Usciva poco ed era anche un po’ claudicante
ogni volta mi riservava un affettuoso saluto:
un pizzicotto e due baci sulle guance, tenendomi ben strette
le orecchie
tanto per non perdere l’abitudine.