domenica 26 gennaio 2014

La Graziusina



Antefatto:
Alla fine della guerra i soldati tornavano a casa,
e per molti di loro la lontananza di una donna era parecchio più pesante
delle fatiche, delle delusioni di una sconfitta e di tanti anni di tribolazioni
ed era normale che prima di arrivare a casa facessero una sosta rigenerante
nell’unico bordello della città.
File interminabili si formavano davanti alla porta  della casa
anche perché tutti volevano solo lei, la Fatora ,
che, proprio come un fattore governa il podere, lei governava la casa.
Si racconta che anche il marito, al ritorno dal fronte,
dovesse mettersi in fila per entrare e non ci furono ragioni,
nessuno si fece convincere che quel poveretto dovesse entrare davvero in casa sua.
La fama della Fatora era facilmente arrivata nell’entroterra
e i giovani partivano a frotte per la città organizzati in gruppi di motociclisti
lasciando le madri a pregare in silenzio per la loro salute.

La Graziusina era vedova da sempre dopo che Nino gli era morto in miniera
e da quella volta tenne il lutto stretto e fece l’orto
( si dice così per dire che si faceva i fatti suoi senza dare troppa confidenza),
ma non mancava però di sentenziare in maniera tagliente
tutte le faccende che le venivano all’orecchio.
Una delle cose che sopportava meno era il fumare delle donne
e quando ne vedeva una con la sigaretta in mano se ne usciva con:
“La fomma com cle fadori” (Fuma come quelle fattore)
credendo che la Fatora fosse veramente la moglie di un fattore
e che faceva anche un altro mestiere.
Veramente quella frase, che era ormai diventata un epiteto tipico del paese,
la rivolgeva anche alle non fumatrici che, secondo i suoi canoni,
potevano sembrarle poco serie.
Quando le nacque il nipote sperò, senza dirlo, che lo chiamassero come il nonno,
ma il figlio e la nuora preferirono dargli  il nome di Fabrizio
lei però, cocciuta com’era, fin dal primo giorno
lo chiamò Nino e così quel cristiano si ritrovò con due nomi
dividendo il paese in due partiti, quello della nonna che lo chiamava Nino
e quello dei genitori che lo chiamava Fabrizio.
Il tempo trascorse come quello dei paesi  e un giorno Fabrizio-Nino si sposò.
Gran festa e tutto il paese invitato, c’era anche un animatore venuto dalla riviera
che con un microfono in mano s’aggirava tra i tavoli intervistando questo e quello.
Ogni  tanto qualcuno batteva il coltello nel bicchiere per richiamare l’attenzione
e lui correva con quel gelato in mano a trasmettere lo stornello.
Ad un certo punto il gelataio si avvicina alla nonna e ridendo le rivolge la domanda:
“Signora Graziusina cosa ne pensate di questa bella moglie del vostro nipote?”
La sala si blocca, i camerieri restano coi vassoi in mano
la gente con le forchette a mezz’aria e la bocca aperta
il figlio sbianca e il nipote trema, sono attimi di panico
la cosa non è certa ma pare che sia andata via anche la luce.
Lei, la vecchietta, che per la prima volta in vita sua si sentiva chiamar “signora”
dovette pensare subito a una inammissibile presa in giro
e messa da parte ogni auspicabile benevolenza rispose:
“ La fomma”
“Come ha detto?” l’interrompe quello che ormai è creduto da tutti un coglione guastafeste
Senza scomporsi, nel suo vestito nero e il fazzoletto in testa la Graziusina risponde:
“La fomma… ……………. e basta”
Ecco che una vedova di paese , minuta e sgualcita dall’età riesce,
come un poeta,  a racchiudere in una sola parola un pensiero complesso, un concetto,
quel “e basta” è sufficiente a fare dell’ignara Luigina  una ragazza rispettabile
magari con qualche peccaminosa sigaretta fra le dita
ma che possa essere considerata tale da tutta quella metà di paese del partito Nino
e nello stesso tempo vengono riabilitate tutte le fumatrici sia autoctone  sia foreste,
qualsiasi marca di sigarette fumassero e anche la pipa, il sigaro o il trinciato forte.
Fabrizio, riconoscente,  chiamerà  Ninetta la prima nata e Graziano il secondo
purtroppo la Graziusina non lo saprà mai.

lunedì 6 gennaio 2014

A Roma



Io sto seduto alla scrivania, la Bianca mi sale sulle gambe e mi chiede di disegnare:
mette la mano su qualunque foglio trova e io le faccio il contorno
e poi ci disegniamo le unghie, l’orologio l’anello e tutto quel che le passa per la mente
e allora quando ho visto quella manina che mi si parava davanti , ho subito pensato a lei,
era piccola come la sua, ma aveva solo una falange per dito e nel palmo tre monete rosse,
centesimi di poco valore,
e l’età non è certo la stessa, ci corrono almeno cinquant’anni,
sta con la testa bassa e girata di là come se non volesse farsi vedere.
Ero in via Nazionale che in questi giorni è affollata di stranieri che comprano
che pare si abbuffino dentro i ristoranti e lei con sta manina chiedeva briciole
non ho fatto in tempo a darle niente  perché,
se di solito lei mi sta a braccetto e mi tocca trascinarla
in quel momento era lei che trascinava me e la manina è passata
ma dopo di lei ce n’era un’altra, una che esibiva un viso senza naso
e poi uno col piede non so come,
ma quella che m’è rimasta dentro è solo lei che non esibiva,
guardava il marciapiede che le stava di fianco
quasi si vergognasse di  tendere la mano
più in là due barboni con un cane a testa che hanno un barattolo sul marciapiede
che pare dica “io non ti chiedo niente, se te vuoi mettili lì”
Ho ripensato a Madrid con i suoi mendicanti che sono uguali a questi  di Roma
e ho pensato che in fondo anche io mendico qualcosa che non merito,
mentre loro meriterebbero parecchio di più.
In piazza del Popolo uno suona la chitarra, mi metto a sedere ai piedi dell’obelisco
a leggere il giornale, mentre aspetto che arrivi Novella.
Sole caldo, buona musica e l’Unità, cosa vuoi di più,
spero solo che lei tardi un po’perché il chitarrista è bravo e io sto bene qui.
Andiamo a mangiare un po’ di riso che c’hanno messo di malavoglia nel piatto,
pago di malavoglia e anche troppo e penso a quella manina.
Andiamo a vedere sant’Ivo alla Sapienza che in tanti anni non sono mai riuscito a vedere,
chiusa. E’ chiusa anche sant’Andrea al Quirinale,
Ci lasciamo, saluti e… “la prossima volta invece di andare in albergo vieni nel nostro B&B
in via della Croce”  “Con quel che costa ci pago una settimana a Riccione”
“E’ gratis scemo! Ti pare che faccio pagare a te!”
Anche oggi ho guadagnato uno “scemo” da una volta o l’altra mi convinco e mi fò ricoverare.
per onorare Borromini non resta che San Carlino alle Quattro Fontane.
Entro, c’è la messa, mi fermo un po’ e poi esco, non mi va di disturbare
fuori c’è uno che mi chiede se sono entrato per la chiesa o per la funzione
gli dico che se era per la funzione sarei ancora dentro
e cominciamo a parlare, mi racconta tutta Roma barocca,
dice che viene tutti gli anni per 15 giorni a vedere Roma e l’Italia,
parla benissimo e allora gli chiedo da dove viene
“Nord Carolina, sa dov’è?”
“Come no! ci vado tutti i giorni, faccio colazione e torno ”
Vuole il mio numero che quando viene nella mia città mi chiama;
glielo do, tanto che vuoi che faccia di male uno col mio numero.
A Roma l’importanza della chiesa si vede subito dal mendicante che c’è fuori,
più è importante e più ce ne sono, a Santa Maria Maggiore sono in quattro
non metto manco la mano in tasca, tiro dritto e penso a quella manina.

Oggi pranzo all’hotel Bernini, (garantisco che non pago io)
Mi apre la porta uno paonazzo, con un cilindro in testa e una livrea rossa e oro con anche i galloni
“Prego signore  si accomodi”
“E’ meglio che ti dai  un’accomodata te: guarda lì come t’hanno ridotto!”
Ripenso a quella della manina, quando torno le do quel che devo.
Si  parte: esco dall’albergo e giro un po’ intorno,
niente, non c’è, eppure era qui, proprio davanti a Geox
“Te la ricordi quella che aveva quella manina piccola che chiedeva l’elemosina qui ieri?”
“No”
“Ma possibile che non te la ricordi? Era qui davanti”
“No, non me la ricordo, ma che vuoi fare, la volevi portare a casa?
Dai che è tardi e poi ci tocca viaggiare di notte”
Al posto tuo mi porterei anche tutti i barboni di via Nazionale
Che sia vero che non c’era e l’abbia vista solo io?
Vuoi vedere che me la sono inventata? Ma perché? Che senso ha?
Finalmente a casa, ho una macchina di pacchetti
abbiamo speso una fortuna e penso che solo in queste feste mi accorgo di avere tutti ‘sti parenti
Non vedo l’ora di vedere le ciofeche che mi regaleranno a me,
soprattutto mio fratello, un taccagno che ha sposato una tirchia.
L’anno scorso m’ha fatto un paio di ciabatte di pezza che ho visto uguali alla Conad
non sono andato a vedere il prezzo per non incazzarmi,
tanto ancora sono incartate da qualche parte.

Oh Pinco Panco, ciao, vieni qui che nonno ti disegna la manina.