venerdì 17 aprile 2015

Dal Tevere alla Sardegna




Quando si vara la tua barca la vedi sempre più bella di tutte
e mentre entra in acqua è come se entrassi te
le giri attorno e fai tutto quel che serve per
 non far salire gli operai con gli scarponi
controlli che tutto funzioni come se avessi paura che qualcuno l’avesse maltrattata.

“Max, MAX, dove sei?”
Non finisco di chiamarlo che lo vedo rotolarsi sulla banchina.
Io ho accostato la barca e lui con un balzo carpiato - raggruppato
ha tentato di portare i suoi 110 chili in banchina
e adesso rotola sul pavimento di legno sospirando
“Oddio”
Comincia così una avventura che doveva portarci tutti due dal Tevere alla Sardegna.
La sera guardiamo il meteo e decidiamo che è meglio rimandare,
la mattina dopo, alle 6 e mezza accendiamo il motore e si va.
Se ci sbrighiamo ci lasciamo il ventone alle spalle.
Mentre tolgo gli ormeggi trovo modo di infilarmi un chiodo sotto un’unghia
ma la barca è partita e faccio appena in tempo a saltarci su
insanguinando maglia, pantaloni e barca,
dovevo capire anche da lì che non era giornata.
Difatti un’ora dopo ero sdraiato sul pavimento che vomitavo il caffè
che anche se ne avevo preso uno solo ne ho buttato fuori così tanto
che mi pareva di avere una cuccuma al posto dello stomaco
ho perfino creduto di vedere un fil di fumo uscirmi da dentro
e ho pensato che forse era l'anima, stavo buttando fuori anche quella.
Non siamo riusciti a lasciarci il ventone alle spalle,
anzi, ce l’avevamo proprio addosso,  il log segna 28 nodi e dovrebbe aumentare
la barca sbatte sull’onda ma è sicura e Palinuro (il pilota automatico) la tiene ancora in rotta.
Max fa capolino e mi chiede se ho fame
solo l’idea mi fa venire un altro conato
ma esce solo roba verdina con qualche striatura di sangue
Per tre ore si va avanti così finché Max viene di sotto e mi dice
che sono tre ore che stiamo navigando, ne abbiamo davanti altre 27
e se dobbiamo farle tutte così secondo lui è meglio se si torna indietro
io con la testa dentro il cesso condivido meravigliandomi che l’abbia capito così presto
dev'essere lo iodio che lo fa diventare così pronto nelle decisioni.

Sento un bestemmione che viene dalla banchina
e ancora in coma mi affaccio al tambuccio
c’è Max sdraiato sul pavimento di legno che si muove a malapena
“Cos’hai fatto?”
“Ho dato una testata alla gru, colpa del cappello con la visiera”
“Colpa tua no, eh?”
Ha picchiato la fronte nel contrappeso di cemento della gru, 
gli scappa il sangue dalla fronte e viene in barca a lasciarlo sulla coperta.
Lo medico e gli attacco un cerotto,
la barca era di un dottore e è piena di cerotti, 
da ogni stipetto che apri escono pinze,  garze e cateteri, forse era incontinente.
Si fa buio, la barca è ormeggiata in qualche modo io sto meglio e vado a letto,
lui va a cena, io no, ho fame ma ho paura di mangiare.
Speriamo che stanotte il Tevere non s’ingrossi, domattina toccherà portarla in porto.

Adesso sono qui seduto che aspetto il mio turno per la visita allo stomaco,
rileggo tutto e mi pare che ci voglia una frasetta finale…
ecco, forse questa va bene:
Quando le giornate sono “no” sono “NO”