martedì 9 febbraio 2021

Bongo

Ero lì anche alla sua prima volta, 

dietro la fabbrica dei martelli elettrici, 

io li aspettavo seduto nella panchina del viale

e loro stavano in piedi contro il muro bruzzoloso 

e quando si salutarono lei andò via per il cancelletto dei Zoccolanti 

e noi facemmo il giro per di sopra

ad un certo punto vedo che gli viene giù un pisciarello di sangue da una mano

“Ma com’è che sanguini?” “

Và?! Non m’ero accorto, è perché il muro le faceva male nella schiena

e allora c’ho messo le mani”

E anche nell’altra mano si vedevano le nocche tutte scorticate

“Adesso cosa gli dico a mamma”

Eravamo ancora bambini 

Nell’orto della casa vecchia aveva un giuggiolo 

e alla fine dell’estate eravamo sempre lì sotto  a riempirci la pancia

e a sputare gli ossi  dentro un urinale smaltato bianco

con una riga blu sul bordo che era ormai in disuso da anni 

e come tutte le cose di famiglia era un peccato buttarlo

il gatto s’avvicinava e noi allora lo prendevamo a bersaglio

e lui scappava di corsa che pareva gli facevano schifo gli ossi sputati.

S’andava in cima al monte Petrano a correre e a fare ginnastica,

con tutto il posto e l’aria buona che c’era in paese

noi due facevamo 12 chilometri per correre un’ora nei prati

che  come quelli non ce ne sono da nessuna parte

e per diminuire la pancetta che cominciava a farsi vedere

ci sbudellavamo mettendo buste di plastica sotto la maglietta

e il sudore colava giù per la tuta che pareva l’avessimo fatta addosso.

Era il più grande allenatore di tutti i tempi, 

ha tirato su tutti i giovani dal ’70 in poi e tutti si ricordano del mister Bongo

e l’ha fatto solo per passione e tutti quei ragazzi lo sapevano

e gli volevano un bene dell’anima,

quando s’andava a spasso ogni due metri c’era qualcuno che lo salutava

e lo fermava per dire questo e quello  

e parlare di pallone e lui li conosceva tutti,

Mai una volta che avesse inveito contro l’arbitro, 

solo una volta quando tre giocatori cascano in area,

l’arbitro fischia e lui gli grida “Perché?” 

L’arbitro risponde “Gioco pericoloso”

E lui “ Ma se hanno inciampato per terra, tutt’al più sarà gioco pericolante”

E’ passata alla storia.

Aveva la macchina piena di cartellini da consegnare ai ragazzi

io glieli mettevo in ordine alfabetico

e ogni volta lo rimproveravo perché non ne aveva consegnati abbastanza.

E anche le ricevute del parchimetro gli mettevo in ordine

e son sicuro che quando scendevo lui le mischiava  come un mazzo di carte

perché quando salivo  la settimana dopo erano di nuovo spaiate

“Perchè non le butti via? Manca quella di giovedì,  

non sei stato in piazza giovedì?”

“Ma fatt’i cazzi tua… sono andato a fare una visita  

per il morbo di Dupuytren che c’ho il mignolo piegato”

S’andava in camporella in compagnia sul monte Catria

e un giorno lo vedo davanti a me che sbandava e quasi finiva nel fosso,

lo schivo per miracolo, lo supero e quando scendo 

dalla macchina lui era già fuori

“Che cazzo fai?”

“Niente, niente tranquillo non è successo niente” 

poi capisco “Ma Dio bono, fra 5 minuti siamo arrivati!”

“Allora? Te ne frega qualcosa se io m’avvantaggio?” 

“Perché ti sposi con lei?”

“Perché sennò il padre e il fratello m’ammazzano, 

son dieci anni che siamo insieme

e poi della compagnia  siam rimasti solo noi due, chi devo sposare?!”

“A me mi sta sul cazzo, quella ti porta via dal paese e ti rovina la vita”

La vita non me l’ha rovinata ma dal paese siamo andati via.

Son tornato per toglierti dalla piazza che era diventata un obitorio, 

sei venuto via leggero quasi aspettassi che arrivassi a portarti via, 

abbiamo cominciato il gioco dove te dicevi una parola 

e io rispondevo come avrei fatto una vita fa,

ci controllavamo per vedere quanto c’eravamo persi 

e eravamo felici nel vedere che niente s’era perso nel ricordo,

nella ironia di un commento a volte maligno
“Son preoccupato” “Di cosa” “Ci divertiamo troppo”.

Sti ultimi tempi s’andava a mangiare in campagna dal Bociolo

un piatto di pasta una insalatina e un bicchiere di Arneis il tuo preferito,

solo noi tre dicevi ed era un noi che escludeva tutti gli altri. 

“Oh Pà (e già se mi chiamava per nome vuol dire che era cosa seria)

st’ultimo mese son calato 5 chili e non sto bene per niente”

100 giorni, solo 100 giorni.

Alle nove e mezza m’ha chiamato il Bociolo 

che di solito a st’ora è già a letto

e quando ho visto il nome sul telefono m’ha preso un colpo 

e adesso son qui che penso a noi alle femmine,

alle gite a cercare il vino in Piemonte, Friuli, 

alla fregatura nel Lazio, sul Garda o nella bassa Marca, 

s’andava a zonzo per i paesi facendo finta d’esser sobri

e invece a forza di assaggi si viaggiava leggeri 

che la gravità ci faceva un baffo.

Uno dava una pacca nel sedere alla Leti 

e quando lei si girava l’altro gli metteva le meni nelle tette

“Questa è maleducazione bella e buona!”

“Bella e bona sei te!” e l’abbracciavamo sicuri che fosse felice

e infatti lo era perché a noi due era concesso tutto. 

Posso andare avanti per anni a scrivere  

le stupidaggini che abbiamo fatto insieme, 

bastava un’occhiata a capirsi e spesso manco quella, 

uno partiva e l’altro sapeva già dove s’aveva d’arrivare. 

“Non te lo volevo dire ma iersera ho baciato la Giannetta”

“Sei un maniaco con tutte quelle che ci sono in giro 

proprio a lei devi rompere l’anima”

“Manco c’avesse la rogna, sempre femmina è”. 

Una volta alla parata del 2 giugno mentre s'accingeva a sfilare 

passa il Bociolo ritto sul nuovo carrarmato Leopard, 

lo chiama urlando e lui fa fare il presentat arm al plotone, 

gridando "Onore al Bociolo!"

C'è voluto uno zio monsignore a risparmiargli la galera a Gaeta.

Sono stato a trovarlo una volta sola 

e ho capito che si vergognava a farsi vedere in quello stato

in tutta la mattinata l’unico sorriso 

l’ha avuto per la nipotina che lo stuzzicava.

L’ho visto sconfitto senza aver lottato

lui che da terzino della lotta ha fatto una ragione di vita

una lotta spesso impari che andava comunque fatta 

per portare a casa una partita o per salvare l’onore

e quando la partita è diventata la sua gli son mancate le forze.

Questa cosa è stata la più dolorosa,  

saperlo guerriero e non vederlo combattere

un Galata morente ferito nell’anima, non ho sopportato quella vista

e l’ho salutato come non mi fossi accorto della sua resa

una finzione stupida che lui ha capito benissimo.

Gli ho telefonato e ho continuato anche quando non rispondeva

sicuro che vedendo il mio nome sapeva che l’avevo pensato,

a me bastava, non so, forse bastava anche a lui.

Durante la funzione mi son trovato a pensare 

che sarebbe stato meglio fosse toccato a un altro, 

ecco, a lui per esempio, perché non a quello lì o questo qui dietro

che c’hanno anche un anno in più?

Ho provato fastidio della vita della gente che mi stava intorno, 

avrei voluto dirglielo che lui aveva diritto di vivere più di loro,

ed è lì che ho maturato l’idea che non sarei più tornato in paese

che adesso mi pare più desolato d’una stazione di treni

e anche se ogni tanto mi tocca faccio i vicoli e rasento i muri.

A volte mi chiama Vincenzo e anche il Bociolo che imbranato com’è

ha imparato a mandarmi messaggi,

capisco che vorrebbero parlare di lui ma non gli do l’occasione,

due convenevoli e saluti, è già troppo così.

S’è portato via un pezzo di me, l’ha preso da dentro;
adesso per campare può bastare quel che mi resta
per vivere toccherà fare qualche sforzo in più

e così quando toccherà a me  avrò meno interesse a star qui

e andrò via più a cuor  leggero.