lunedì 18 febbraio 2013

Spipinata à la grandeur



Massi era un misto tra nome e cognome, era più grande di noi di qualche anno,
un ragazzone che era un po’ infantile, ma noi ci stavamo bene insieme
a noi senza patente ci scarrozzava sempre con la sua mini cooper rossa.
Una sera si presenta al bar dicendo di avere una novità segretissima,
ci carica sulla macchina me, il Bociolo e un altro che non ricordo
e si va fuori dal paese, verso il podere del padre.
Il podere è dismesso da un po’ e il padre non lo fa lavorare
perché fa l’impresario e c’ha i cantieri in giro.
Noi qualche volta ci andiamo a fare delle spaghettate a mezzanotte,
non è distante, ma nei dieci minuti di strada ci spiega che una ragazza francese
ha chiesto al padre se le affittava la casa e il padre gliel’ha data.
Andiamo a vederla, perché ne vale la pena, ma la cosa deve restare segreta.
Appena arrivati scendiamo speranzosi di fare una nuova conoscenza
ma scettici perché Massi non è uno che dà molto affidamento.
Lui bussa e apre a destra e sinistra due porte e davanti una rampa di ripidi scalini
“Sono Massi”,
“Sali Massì (con l’accento sulla i)”
Lui sale, ride, girato verso di noi e il Bociolo dietro.
Faccio giusto in tempo  a prenderlo per la cinta dei pantaloni
“Ha detto sali a lui”
“ Ma dici che si offende se vado su anch’io?”
“Che ne so, è francese…”
“Embè le francesi non si offendono mai!”
“Che cazzo ne sai te?”
“Testone, vengo dall’Argentina o no?”
E’ tornato in Italia a quattro anni e ogni volta che vuol far credere che sa qualcosa dice:
“Vengo dall’Argentina o no?”
Ricomincia a salire mentre Massi si affaccia alla porta a ci dice di aspettare lì.
Dopo un po’ scende e mi fa: “Quanti soldi hai?”
Mi rovisto nelle tasche, tiro fuori una carta da cinquecento e un po’ di spicci,
a occhio e croce mille lire,
“Te?” il Bociolo tira fuori un mille e un po’ di spicci.
Insomma Massi prende i soldi da tutti tre e sparisce dentro,
cinque minuti e esce “Tocca a te” vado dentro e vedo una bonazza
che esce da dietro la tenda del bagno (si fa per dire) mezza nuda e si avvicina al letto
“Vuoi stare con me?”
Ho idea che non abbia finito la frase che avevo già i pantaloni alle caviglie
“Il preservativo l’hai preso?”
“Non sapevo manco che serviva”
mi avvio alla porta coi pantaloni sempre laggiù
che per poco non c’inciampo e le mani davanti a coprire le vergogne.
La porta è socchiusa e loro tre mi stanno guardando
“ Oh Massi ma il preservativo?”
“Fattelo dare da lei che dopo la paghiamo”
Torno e lei è lì che sgranocchia noccioline
Comincio a darmi da fare, ma con una che mangia noccioline non è facile
dopo un po’ da dietro la porta  cominciano a arrivare le voci
“Allora? Ti muovi?!”
Finalmente finisco, esco io e entra il Bociolo,
si sente un po’ di trambusto e poi lei che fa un sospirone.
Ci affacciamo alla porta e si vede il Bociolo a culo nudo
sollevato sulle braccia come facesse le flessioni
che la guarda fisso in faccia e le dice: “Sospiri davvero o mi prendi per il culo?”
Per poco non cadiamo dalle scale dalle risate, ma il rumore di una macchina ci blocca
e Massi che fa : “Mio padre!”
Ci precipitiamo giù dalle scale ma sulla porta c’è già lui
“Cosa ci fate qui teste di cazzo e te imbecille, se ti rivedo da queste parti ti levo la macchina,
andate a casa che ancora ve la fate addosso”
Ci tuffiamo dentro la Mini e si fa per partire quando da dietro casa arriva il Bociolo
“Ma da dove vieni?”
“Ho saltato la finestra”
“Sei caduto sulla letamaia”
“Si ma era secca”
“Il cervello c’hai secco te, senti che puzza di merda!”
“Massi, ma alla fine te mica l’hai pagata”
“Si, ma te hai fatto lo stesso”
“Va bene ma adesso mi ridai i soldi, mica l’ho fatto con te”
“Quanto mi hai dato?”
“Io mille e cinque e lui mille e otto”
Ci ridà i soldi senza fiatare,
(“vaffanculo se lo sapevo gli chiedevo di più”)
“Domani sera torniamo!”
“E tuo babbo?”
“Domani non c’è, il mercoledì sta fuori”
“Ma portate più soldi, mica è morta di fame! E poi ci vorrebbe un regalino: è sempre una francese!”
La sera dopo si replica, ci presentiamo al bar lucidi impomatati che tutti ci guardano.
Qualcuno ci chiede dove andiamo “Da nessuna parte”
si sale in macchina e si parte. Consegnamo i soldi
“Oh non fare lo stronzo, daglieli! ”
“Il regalo lo avete portato?”
“Ce l’ha il Bociolo, ha detto che ci pensava lui”
“Cosa gli hai preso?”
“Una busta con le noccioline”
“Che cazzo di regalo è? mica è una scimmietta!”
“Ma lei piacciono e allora… le ho prese dalla bottega di babbo”
Tutto fila liscio e le noccioline sembrano gradite,
torniamo al bar felici come passeri nel granaio.
“Da dove venite?” son tutti lì che ce lo chiedono e Massi
“Una spipinata alla grandeur! Che cazzo volete capire voi?!
Oh mi raccomando silenzio! Io ve lo dico ma mosca è?”
E giù che racconta con una sfilza di dettagli che nella fretta forse m’erano sfuggiti
o forse sta inventando una montagna di cazzate e noi lì che confermiamo tutto.
La sera dopo si aspetta che la macchina del padre
parcheggi al solito posto in piazza, ma non arriva mai,
finalmente verso le undici eccola e allora noi ci precipitiamo alla mini
già coi soldi nelle mani, arriviamo alla casa e ci troviamo quattro macchine
e una nuvola di gente fuori che aspetta
“Idiota, eccola la tua spipinata alla grandeur, ma non potevi stare zitto?!”
“Allora se questi sono prima di noi, noi torniamo domattina”
“Va bene ma intanto ridammi i soldi”
“Quanto m’hai dato?”
“Duemila io e duemila lui”
“Sei sicuro?”
“Dai scemo, ce n’hai talmente tanti che manco li guardi quando te li diamo”
“ Oh mi raccomando hè, per domattina silenzio!”
Siamo in piazza e scendiamo dalla macchina
non facciamo in tempo a mettere i piedi per terra che Massi urla
come fosse uno che vende giornali
“ULTIME NOTIZIE…  
DOMANI MATTINA ORE DIECI GRANDE SPIPINATA A' LA GRANDEUR!!”

lunedì 11 febbraio 2013

Patti Lateranensi

Oggi sebbene sia ancora in pietose condizioni
non potevo mancare a l'evenienza del giorno,
questo non è uno dei soliti racconti ma una mia considerazione sulla ricorrenza giornaliera.
abbiate pazienza se la posto ma l'ho preparata un paio di settimane fa e ci tenevo a pubblicarla,

Buona giornata a trutti.





Oggi 11 febbraio, ricorrono 84 anni dalla firma dei Patti Lateranensi,
furono stipulati da un Segretario di Stato (Vaticano) e un Primo Ministro (Italiano)
quasi a significare che i regnanti non si volevano sporcare le mani.
Nessuno Stato al mondo ha mai sentito il bisogno di fare patti con la chiesa,
fanno eccezione Baden, Baviera, Germania nazista, Lettonia, Lituania, Polonia,
Prussia e Romania in rigoroso ordine alfabetico.
Tutti questi l’hanno fatto per la libertà di religione e gratis,
noi l’abbiamo fatto per riconciliarci dell’offesa fatta al vaticano
con la presa di porta Pia quella gloriosa pagina di storia
di cui il regime di allora non vedeva l’ora di dimenticarsi
perché più incline a ricordare i fasti romani
molto più vicini alla dittatura che il democratico risorgimento.
Ben sette miliardi di odierni euri furono versati al nuovo Stato città del Vaticano
(praticamente una finanziaria completa) in cambio
tra le altre cosucce, del giuramento di fedeltà allo Stato Italiano
che avrebbero dovuto fare i vescovi
e del totale disinteresse di tutto il clero alla politica italiana.
Mi viene in mente che qualche volta andrebbe ricordato agli abituè del pulpito.
I patti furono talmente soddisfacenti che il papa Pio XI
(decimoprimo per i pretini undicesimo per noi) che disse di Mussolini
“l'uomo che la Provvidenza Ci ha fatto incontrare”
S’ncontrarono e s’intesero così bene che nel ’38
lo stesso uomo decreta provvidenzialmente le leggi razziali
per massacrare gli odiati fratelli ebrei.
Nel vicino 1984, il concordato fu rivisto per togliere
l’obbligatorietà all’insegnamento della religione nelle scuole
e la definizione di “religione di stato”.
Le due cose andarono a buon fine,
ma i vaticani in cambio vollero togliere il benestare
dello Stato Italiano alla nomina dei vescovi
e aggiungere il pagamento dello stipendio ai preti (pedofili compresi).
Vale a dire che per la seconda volta noi portiamo a casa i princìpi e loro i quattrini.
C’è da dire anche (poi finisco) che entrambe le faccende furono,
da parte nostra, firmate da due laici miscredenti (Mussolini e Craxi)
e questo pone il vaticano al sicuro da critiche di aver comprato la controparte
come se noi non sapessimo che uno era fascista e l’altro socialista.

lunedì 4 febbraio 2013

Fuga dal collegio



Quando mia madre m’ha visto sulla porta sapeva già che ero scappato,
tant’è vero che a casa con lei c’era anche il padre di Rolando.
Capii quindi che quelli del collegio li avevano avvertiti.
Mi ha chiesto se avevo fame.
Veramente avrei mangiato un bue,
ma per contrizione dissi di no e mi pentii subito.
Eravamo scappati dal collegio due giorni prima,
ma, siccome la prima volta, quando avevo visto il camion di Santi, ero saltato sul cassone
e lui mi aveva visto e mi aveva riportato indietro,
stavolta avevo deciso di farla tutta a piedi:
in tasca qualche pagnotta di pane presa al refettorio e via di corsa.
La notte l’abbiamo passata dentro un pagliaio, nel buco dove di solito sta il cane.
Il cane non c’era e non c’era nemmeno il padrone, non c’era proprio nessuno,
era tutto abbandonato così ci siamo andati noi.
Al principio avevo paura delle bisce, ma poi mi son detto che in un pagliaio
non c’è niente da mangiare per i topi quindi nemmeno per le bisce,
così ci siam fatti coraggio a vicenda, io e Rolando
facendo credere, anche a noi stessi, d'essere uomini
e poi mi sono addormentato quasi subito.
“Perché sei tornato?”
“Così”
“Adesso cosa vuoi fare?”
“Domani torno giù”
Era successo che, dopo cena, uno dei preti mi aveva chiamato nella sua stanza
e si era messo a farmi una gran predica sullo studio e sulla disciplina,
ma, quando mi ha preso le mani e me le ha tenute tra le sue,
ho avuto una strana sensazione e me la sono data a gambe.
Sono corso in camerata e ho dato uno scossone a Rolando
che dormiva nel letto vicino al mio
“Vado via”
“Vengo anch’io”
“Perché?”
“Perché vai via te”
Non mi ha mai chiesto niente sul perché,
a lui bastava che si stesse insieme e anche a me bastava,
consapevoli tutti due che il nostro cameratismo
ci dava quella forza che da soli non avevamo ancora.

In collegio c’era uno che chiamavamo Topo Gigio
non credo di aver mai saputo il nome:
ma per uno come lui un soprannome era anche troppo,
aveva la faccia da topo vero, coi denti davanti che erano sempre in vista
era un po’ più grande di noi e ci controllava tutti.
Se andavi al cesso potevi trovartelo aggrappato al muro divisorio che ti guardava dall’alto.
Era sempre appostato dietro una porta o lo spigolo di un muro che spiava qualcuno.
Non ho mai capito che classe frequentasse
e la sera in camerata  arrivava quando noialtri eravamo già a letto.
S’eran fatte un sacco di ipotesi su questi comportamenti,
ipotesi che andavano dalla semplice spia per conto del prete
a faccende più scabrose che nessuno diceva in modo esplicito.
A me francamente era sempre sembrato un po’ ritardato
anche nell’aspetto, era alto, ma camminava con passi corti e svelti
e quando io e Rolando lo vedevamo nel cortile
ci mettevamo a camminare come lui e lui, sentendosi preso in giro,
ci rincorreva correndo con le gambe tese senza piegare le ginocchia
e noi correvamo come lui finché si sfiatava e si sedeva su uno scalino ansimando.
Non c’entra niente con la storia della fuga
ma m’è venuto in mente e allora l’ho scritto.

Siamo tornati il giorno dopo con la corriera ben coscienti delle botte che avremmo avuto,
ma la stanza delle punizioni e il salto del pranzo non mi spaventavano:
qualche amico mi avrebbe buttato di sicuro qualcosa
dalle grate della finestra e in realtà lo fecero.
Quello che non mi aspettavo era il frustino.
Avrei voluto fare l’eroe rimanendo in piedi per tutto il tempo della punizione,
ma non ci riuscii e questo fu il rammarico.
Il dolore e i segni passarono, il rammarico no.
Quando la porta si aprì per la fine della punizione
mi portarono in cortile dove tutti facevano la ricreazione.
Ci volle qualche giorno perché qualcuno si avvicinasse a parlarmi,
ma la mattina a scuola anche i compagni più schivi mi dimostrarono amicizia.
e questo mi consolò.
C’era in giro la voce che eravamo scappati perché avevamo rubato da mangiare nel refettorio.
Ogni compagno che ce lo diceva aggiungeva di non crederci.
Eravamo diventati una bella coppia di eroi sfigati.
Nel cortile però, quando i preti ci vedevano, nessuno si avvicinava,
solo quel Topo Gigio mi stava attorno a chiedermi cosa era successo
 “Non è successo niente, avevo solo voglia di andare a casa”
Quando vidi Rolando gli chiesi cosa gli avessero fatto
“Niente, aspetto, qualcosa mi faranno di sicuro”
Non gli fecero mai niente.
Solo dopo capii che quello era il loro tentativo di dividerci e far finire la nostra amicizia.
Non ci riuscirono e siamo rimasti amici per altri vent’anni
finché l’aids l’ha portato via, quello si c’ha diviso.

Rolando fu il primo capellone della storia del rock;
da bambino gli si rovesciò una pentola di acqua bollente sulla testa
e i capelli non gli crebbero più per tutta la parte che va dal cervelletto a dietro
quindi lui si faceva crescere quelli sopra per coprire la calvizie
la mattina mi diceva di metterglieli a posto e io gli dicevo
“Oh, Rolando t’è cresciuto un pelo, te lo stacco così lo vedi”
Prendevo un capello dei miei e glielo mettevo davanti al naso.
Ormai non s’incazzava più, era sfinito, ma solo io potevo scherzare sulla sua calvizie.
Chiunque si fosse azzardato… non so mica cosa gli avrebbe fatto!
Quando s’andava al fiume  lui stava sempre con la maglietta
per coprire le cicatrici della scottatura che aveva sulla schiena, ci faceva anche il bagno,
si metteva a dorso nudo solo se non c’era nessuno oppure prendeva il sole davanti,
stando sdraiato sulle rocce.
Dovevano essere un bel complesso quelle cicatrici che non poteva vedere!
Si era impiegato alla SIP, ma, stanco della routine, andò a fare qualcosa in Inghilterra.
Tornava ogni tanto e sempre con una ragazza e una macchina diverse.
Una volta venne con un cab e girammo tutta la provincia con ‘sto taxi nero
e il portellone dietro semi aperto
da cui uscivano i piedi di due manichini sovrapposti, come se trombassero.
C’abbiamo girato per una settimana,
col prete di Pianello incazzato nero che usciva dall’osteria per urlarci dietro.
Poi se n’è andato e voleva che andassi anch’io,
e per convincermi mi diceva tutti i giorni delle meraviglie di Londra:
le ragazze, la musica dei Led e dei Pink (una comune passione) e i soldi facili…
ma quello migratore era lui, io ero stanziale e allora non se ne fece niente.
A volte salivo in macchina e lui mi diceva
"Pà, va dove ti pare intanto io viaggio per conto mio"
Ogni tanto gli dicevo di smetterla, convinto che non lo avrebbe fatto,
però avevo bisogno di dirglielo, sennò che amico ero?
E lui aveva bisogno di sentirselo dire, sennò che amico aveva?
L’amicizia si nutre anche di queste sottigliezze.
Finché una volata invece di tornare lo riportarono.

L'anno dopo dissi a mia madre che piuttosto che tornare lì smettevo di studiare
e allora quando la scuola finì mi venne a prendere
e chiese indietro il materasso che avevamo portato da casa all’inizio dell’anno,
risposero che al momento non lo trovavano,
 ma che ce lo avrebbero mandato fra qualche giorno.
Non arrivò mai e quell'estate dormii sulla rete
usando come materasso la coperta imbottita dell’inverno.