domenica 21 ottobre 2012

Il funerale della Maria

Oggi 19 ottobre c’è stato il funerale della Maria, la mamma del Bociolo,
Maria la mamma, non Maria la moglie
che, siccome è testimone di Geova in chiesa non è venuta e ha aspettato fuori
e c’ha abbracciato tutti quanti all’uscita come fosse festa.
In chiesa ci siam visti e è venuto a trovarmi lui, io non ne avevo il coraggio.
Per me è stata come una seconda madre,
loro avevano la bottega di alimentari e io
e il Bociolo gli fregavamo il parmigiano nel magazzino;
ho sempre pensato che si accorgesse ma non diceva niente.
Quando mi vedeva  in questi ultimi anni mi faceva sempre una gran festa,
mi chiamava Pauline come si usa in Argentina per dire Paolino
perché loro erano stati emigranti a Mar del Plata dove Pino guidava i tram.
Al duomo sono andato in cima nel posto dove andavo da ragazzo,
quando c’avevamo i posti fissi e alla domenica mattina ci si ritrovava lì.
E' da allora che non c’andavo più,
poi è arrivato mio fratello e mi s’è messo accanto,
così ero tra lui e Gabriele, il fratello di Bongo che è prete (Gabriele è prete, non Bongo).
Mio fratello m’ha detto che ha fatto una ricerca sulla longevità dei nostri parenti
e ha stabilito che a me m’è rimasto poco per entrare nella media.
Gli ho fatto notare che nonna Ester è morta a trent’anni di parto
e lui ha detto che fa media anche lei,
"Ma allora tocca prima  alla Mirella che ha due anni più di me".
Ma lui dice che le femmine campano di più.
"Del resto un infarto l'hai già avuto, penso a tutto io, stai tranquillo,
ho già liberato il posto nella tomba di famiglia",
non è una faccenda da ridere, lui ci crede davvero e il posto l’ha fatto sul serio
e me lo aveva detto dicendo che è piena e tocca far posto
“Perché non si sa mai”.
Gabriele ha sentito tutto e s’è proposto di dire la messa solenne
“Valà Gabriè, non ti ci mettere anche tu a rompere i coglioni”
Poi è arrivato Giannicola e Gabriele glielo ha detto e lui si è proposto ad aiutarlo:
va sul pulpito a raccontare tutte le cazzate che abbiamo fatto,
così per tutto il tempo non abbiamo fatto altro che parlare del mio funerale,
c'era anche Bongo, Vincenzo, la Franca, la Vincenzina e l'Ombretta
insomma fra tutti hanno detto che vogliono fare un bel funerale
e poi vanno tutti a mangiare una pizza con le acciughe e i capperi in mio onore
perché a me mi piace quella.
A quel punto è arrivato il Bociolo e ha chiesto cosa avevamo da parlare,
Vincenzo gli ha detto che andavamo a mangiare la pizza in mio onore
“Perché,cosa ha fatto?”
“Ha da morì, gliel’ha detto il fratello”
“Per l’eredità?”
“No, perché è ora”
“Cazzo allora andiamo a cena al ristorante, una ricorrenza come questa
è da coglioni festeggiarla con una pizza!”
“Bociolo, lascia perdere c’è la Maria…”
“Pà, lascia perdere te, mamma è più contenta se rido che se piango,
te bada a crepare tranquillo che al resto pensiamo noi”.
Arrivati al cimitero ho incontrato Oscaretto che m’ha chiesto che vino c’ho
“Valpolicella ripasso”
“Ma è buono?”
“Ho capito, te lo mando da mio fratello così lo senti”
“Dov’è la tomba vostra?”
“Lassù, nell’angolo a destra dell’entrata. Ma a te che ti frega?”
“M’ha detto Piriz ch’hai da morì allora m'informavo…”
“Vaffanculo Oscaretto “
Ecco, questi sono quei figli di puttana…”scusa Maria”
dei miei amici, mi voglion bene e mi faranno un bel funerale.
Sto tranquillo, intanto però ho fatto il viaggio di ritorno
guidando con una mano sola che l'altra era dabbasso.

domenica 14 ottobre 2012

Il petardo


 


A mio cugino quello ricco e inetto,
lo chiamiamo “il raccomandato” perché ogni cosa abbia fatto
hanno dovuto raccomandarlo, anche per fare la prima comunione
si sono raccomandati che fosse in prima fila;
per tutto quello che gli hanno fatto fare
è stata trovata la persona giusta per raccomandarlo.
E sì che non deve essere stato facile raccomandare uno che si sa che non sa far niente:
non di meno sono riusciti a farlo diventare direttore di agenzia.
Ma la storia è un’altra,
la storia è che un giorno mi regalò due petardi.
Avevo sette o otto anni, non di più;
li tenevo custoditi in una scatoletta di latta
insieme ad altre piccole cose care.
Un pomeriggio, in piena estate, decido che era ora di spararli
e nell'androne di casa preparo una rampa di lancio
(che al tempo non sapevo si chiamasse così)
fatta di pezzetti di legno legati col filo da imbastire di nonna.
Ne posiziono uno in modo che vada dritto sul tetto del marmista di fronte a casa,
accendo e... mentre mi allontano sposto con un piede la slitta che crolla.
La miccia brucia e io resisto alla tentazione di prendere il petardo con le mani
finché lui parte con un gran fischio e va a colpire il ritratto del bisnonno Enrico
attaccato al muro nella saletta di casa.
Il boato è terrificante,
i frantumi del vetro sparsi dappertutto
e il bisnonno Enrico tutto nero affumicato,
irriconoscibile, da buttare
(ma l'abbiamo tenuto ed è ancora in cantina).
A quell'ora erano tutti a letto a farsi la pennica,
ma in un attimo me li ritrovo tutti intorno,
anche la maestra del piano di sopra, con la Nice (la figlia zitella ficcanaso)
e la Marietta la moglie di Pierino 
che va a prendere il sole in mutande lunghe sul terrazzo
e madre del capitano di lungo… sorso
(si, sorso, indovina perché).
Mamma è incazzata e vorrebbe darmi una sberla,
ma nonno e nonna mi fanno da scudo e glielo impediscono.
Io la vedo incazzata da dietro le gambe di nonno
che è in mutande e c’ha le gambe bianchissime, secche e pelose.
Giuro che è la prima volta che vedo nonno in mutande
nonna no, non l’ho mai vista,
e a quel punto mamma mi grida: "Ma sei scemo?!"
e nonna, tanto per difendermi fino all'estremo limite,
risponde piano: "E anche fosse?".

lunedì 8 ottobre 2012

Il mulinaccio di Morenicchia



Erano sette fratelli e stavano in una campagna sperduta,
il posto abitato più vicino era a quattro chilometri
e loro andavano e venivano perché lì c’era la bottega
e quando avevano bisogno s’incamminavano
con passo lungo e lento come fanno i contadini,
col bricco per il vino o con l’ampolla per l’olio in mano
e ogni giorno prendevano quello che gli serviva.
Stavano tutti dentro una casa che era un mulino ad acqua
e si sentiva sempre l’odore della farina;
avevano un vallato che portava l’acqua al bottaccio 
e da lì scorreva dentro il mulino e faceva girare le due macine
con delle cinghie di cuoio.
Tutto era a vista, si fa per dire, perché tutto era avvolto dalla farina
e, quando il mulino era in movimento, la polvere riempiva l’aria
e creava una nebbia che non faceva vedere a un passo.
L’acqua che faceva ruotare le pale con un meccanismo da medioevo
e le cinghie a penzoloni davano l’impressione di pericolo costante,
ma loro si muovevano lì dentro come nella cucina di casa.
Io non ho mai conosciuto i loro genitori 
e quindi non so come gli fossero venuti in mente quei nomi,
che parevano usciti da una bibbia o da chissà quali altri libri.
In ordine di età si chiamavano:
Suero, Druso, Eustachia, Metodio, Gelasio, Amalia e Maria.
Solo le ultime due erano sposate e questo mi ha dato modo di pensare
che scapoli lo fossero per via del nome.
Gelasio faceva il sarto in paese e viveva insieme all’Amalia,
Maria era andata a stare a Gubbio col marito,
gli altri vivevano tutti lì, al mulinaccio di Morenicchia.
Io e Luciano, il figlio dell’Amalia, andavamo spesso al mulinaccio
con la sua Benelli 175 sia per prendere i granchi nel fosso
(non divulgate la voce perché è proibito) sia perché ci piaceva.
Io poi stavo sempre con Metodio che era anche il più affabile
e al quale avevo regalato una pipa
che poi seppi fumava soltanto la domenica mattina davanti alla chiesa,
perché Druso e l' Eustachia andavano alla messa
e lui e Suero li accompagnavano
per poi aspettare la fine della funzione seduti su un trave che stava lì fuori.
Allora Metodio tirava fuori la pipa buona e fumava di gusto.
Quando fumava a casa prendeva un tizzone dal camino
che era sempre acceso anche d’estate
e lo appoggiava sul fornello della pipa.
Davanti alla chiesa invece usava lo zippo vecchio di Luciano
e così si pavoneggiava come fosse il più ricco del mondo.
Un giorno arriviamo e troviamo un palo della luce in mezzo all’orto,
non c’erano ancora i fili, ma il palo di legno stava lì
bello e dritto come un fuso. Per la verità si poteva immaginare che fosse dritto 
perché in realtà Suero ci aveva appeso la ronchetta, il corno con le forbici e la cote,
il falcetto, un fascio di venchi (rami sfogliati del salice selvatico) che gli servivano per legare
e poi ci aveva inchiodato un pezzo di legno di traverso;
su ci aveva appoggiato la zappa, il rastrello e la vanga.
Non che fosse il più bel palo del mondo, ma comunque aveva un suo fascino,
insomma pareva un albero della cuccagna a rovescio.
Stava per arrivare la luce!
Subito io e Luciano fummo incaricati di fare l’impianto in casa
e in realtà ci demmo immediatamente da fare per costruirlo,
perciò restammo a casa loro una settimana
e, quando al prosciutto rimase solo l’osso, decretammo la fine dell’impianto.
Mancava solo il contatore, ma quello lo avrebbe messo l’operaio
quando sarebbe venuto ad attaccare la luce.
E il giorno arrivò, io non c’ero, ma il racconto di Metodio non può essere che veritiero.
Dunque, appena arrivati col loro camioncino,
i due operai dissero subito che tutta quella roba non poteva stare sul palo
e quindi andava tolto tutto.
Nessuno si azzardò a toccare niente
perché Suero era andato a comprare qualcosa alla bottega,
quindi si aspettò il suo ritorno in rigoroso silenzio ma così rigoroso
da creare tensione tutt’intorno
tanto che anche le oche e le galline erano sparite ( parola di Metodio).
Suero arrivò e gli operai, con gran baldanza,
gli spiegarono che il palo della luce era della società e non si poteva manomettere
Per cui tutti quegli attrezzi appesi dovevano essere tolti immediatamente
Allora Suero disse: “ Vuoi dire che tu vieni a mettere un palo sulla mia terra
e io non posso toccarlo?”
“Si”
“Allora lo porti via subito”
“Non possiamo, noi siamo addetti all’attacco della corrente,
quel lavoro lo fa un’altra squadra,
e poi ormai il palo è stato messo e non si può più togliere, avete firmato…”
“Aspetta un minuto”
Suero entra in casa e ne esce col cinturone addosso e la sua meravigliosa doppietta imbracciata,
una Bernardelli con la parte metallica incisa con fagiani e lepri,
una vera reliquia che sparò il primo colpo in aria e il secondo
centrò in pieno lo specchietto retrovisore del camioncino.
In un nanosecondo la reliquia fu ricaricata e puntata sugli operai
che in un’ intesa perfetta salirono sul mezzo e sparirono.
Nessuno si fece più vedere.
Al mulinaccio la luce elettrica non arrivò mai e la comunità
visse sempre al lume delle centilene (lampade ad acetilene)
Di tutti i fratelli e sorelle Suero fu l’ultimo a lasciare il mulinaccio
sicuro che ormai il palo non lo avrebbe toccato più nessuno
e difatti è ancora lì.

lunedì 1 ottobre 2012

Il PD visto dalla cucina


 
Io di solito arrivo verso le quattro e mezza, loro sono già lì a preparare,
Remo al macello, prepara conigli, oche, cinghiale,
quello che di solito è il  secondo del giorno,
Dionizio (con la zeta, non la esse) detto Nizio,
prepara la grigliata mista, fettine, salsicce e costarelle e
dice che il suo nome  deriva da un Dio greco del vino e quindi beve di gusto.
Poi ci sono tutte le donne che preparano le verdure e gli odori:
cipolle e carote che servono per la cucina si tritano nella trituratrice,
le verdure per contorno si tagliano a mano,
la Rosi prepara la verdura cotta e la ripassa in padella con l’aglio tritato,
la Giulietta lava le pentole con la Bruna, ma poi va alla cucina
a ripassare i primi in padella col sugo.
E’ brava la Giulietta, lunga e stretta come la madre,
prof di educazione artistica ovviamente precaria.
La Bruna va con la Valeria a servire i contorni  e i piatti vegetariani:
se la intendono bene e ridono per tutto il tempo,
non so cosa si dicono, ma mi sa che prendono per il culo un sacco di gente.
Franco, il marito della Valeria alle piadine,
 io, allo scaldavivande, distribuisco il secondo del giorno e la grigliata mista,
Ci sto bene con Franco e anche con Giorgio suo fratello,
si parla spesso di politica, della nostra, non di quella grossa,
ci diciamo cosa e chi non va e la vediamo quasi uguale.
La Donatella, la moglie del sindaco, (si dice che governi la città più del marito)
ai fagioli con le cotiche e alla trippa, non viene tutte le sere e, quando manca c’è la Piera,
la Linda e Nando alle comande poi c’è Giorgio alle bevande e ai rifornimenti.
Abbiamo anche l’addetto alle bombole
che ogni tanto mi viene intorno con due fette di pane
e mi chiede una fettina, io gliela do e lui sparisce fuori dalla cucina
non mi ricordo il nome perché non ci conosciamo mica tutti!
Infine Mauro il nostro Chef che sovrintende a tutta la cucina
e la Susi,l’organizzatrice, che dopo aver pianificato tutto
e fatto gli ordini per il giorno dopo sta alla raccolta differenziata.
C’è anche Nino, il marito della Susi, aiutato da qualcun altro che sta alla cassa:
sono bergamaschi trapiantati da noi perché ci stanno meglio che da loro.
Quando arrivano i clienti, i cassieri digitano l’ordine
che viene trasmesso in cucina tramite una stampante.
Linda, Nando e anche altri volontari occasionali prendono la comanda
e urlano a noi i piatti da preparare
“Un tortellino all’anatraaa… un coniglio in porchettaaa… una verdura mistaaa”
noi prepariamo il piatto e lo mandiamo nel vassoio
col numero del tavolo che viene passato ai camerieri.
Si va avanti così per tutta la sera,
ma il grosso del lavoro si fa tra le otto e le nove,
poi calma un po’ e riprende alla fine del dibattito
che fanno in città e che di solito finisce alle nove e mezza- dieci.
Si impazzisce per un’altra mezz’ora
e poi ci si può rilassare e mangiare qualcosa
perché è vietato mangiare durante il lavoro:
si può solo bere acqua.
Abbiamo fatto il corso di tre ore
e ci hanno istruito su tutto quello che riguarda l’igiene.
Venerdì è venuto uno della ASL a fare i controlli,
ha trovato un dolce nel frigo vicino ai formaggi,
ha detto che le due cose possono stare vicine solo se chiuse dentro contenitori,
ma siccome di contenitori non se ne trovavano
i ragazzi si sono mangiati il dolce alle sette di sera
erano cinque o sei e l’hanno fatto sparire in un attimo:
pareva una scena del film “La mortadella”.
L’omo dell’ASL ha detto “OK”.
Non ha rilevato nient’altro,
l’anno scorso aveva detto che non si poteva stare in ciabatte
e,siccome la Rosi le aveva, ha dovuto mettere le scarpe buone di Mauro,
il marito, che porta il 44,
lei è secca come uno stecco e porta il 37: sembrava un clown.
La festa dura una decina di giorni
ed è dura tutte le sere star lì fino a mezzanotte a lavorare
e alla fine a pulire tutta la cucina, lavare i tegami e le posate,
quest’anno ci siamo presi un paio di giorni di sosta
così possiamo seguire due comizi che ci interessano.
L’altro giorno è arrivato Martin Schulz con la scorta di guardie e di politici al seguito,
ha voluto assaggiare tutto quel che c’era meno le patate,
ogni roba che mangiava alzava il pollice per approvare,
praticamente ha mangiato come un lupo
c’è costato più a sfamarlo che a farlo venir giù.
Il giorno dopo è venuto Umberto Eco,
la Susi s’era portata una montagna di libri e glieli ha fatti firmare tutti,
c’ha badato mezz’ora e s’era anchilosato la mano,
Roberto c’ha fatto la foto tutti insieme
Ma, siccome gli trema la mano è venuta mossa.
Quando l’ho vista nella macchina fotografica
m’è scappato detto: “Ma è tutta mossa!”
per poco non stendevano Roberto sulla stufa.
Eravamo tutti felici che ci fosse venuto a trovare in cucina:
parevamo tutti intellettuali, anche gli analfabeti.
“Cos’è che ha scritto che non mi ricordo?”
“ Il nome della Luisa”
“Della Rosa, coglione”
“Ah ho capito, ho visto il film, bello”
Ecco, questi siamo noi, …quasi.
Sono venuti Follini e Veltroni.
Veltroni è venuto a trovarci in cucina,
non ho potuto fare la foto perché c’era il fotografo ufficiale del partito
che c’ha messo tutti in gruppo e ha scattato con una mitragliata di flash.
Appena fatto, Veltroni ha dato la mano a tutti dicendo ciao
ed è scappato al ristorante:avevano tutti due la scorta,
quattro sfigati che parevano l’esercito della salvezza
che si sono divorati una montagna di bistecche.
In cucina correva la voce che erano addestrati ad un nuovo tipo di difesa,
se si avvicina un malintenzionato lo finiscono a morsi sul posto.
E’ tornato il controllore della ASL, ha visto la Donatella,  
non la sindachessa, quell’altra, la vicesindaco di Montepeloso,
che metteva la verdura nel frigo sullo stesso piano del formaggio
e le ha detto che non si può perché i batteri dell’uno vanno nell’altro;
Con tutti i parassiti che abbiamo nel partito
a noi quattro batteri nel formaggio ci fanno un baffo!
E’ arrivati Fassino in cucina accolto da un’ovazione,
è arrivato anche Fioroni per il quale non ci si è spellati le mani.
Fassino ha dato la mano a tutti e ha fatto la foto con noi.
Anche Fioroni ha fatto la foto con qualcuno di noi.
Poi sono andati tutti a mangiare.
Finalmente ho capito chi sono quelli della scorta:
sono i poliziotti e i carabinieri locali,
quelli che ci fanno le multe tutti i giorni
non gli basta accanirsi con le multe sulla gente,
si accaniscono anche sulle bistecche mannaggia a loro!
Giuliana, tu non hai idea di che clima c’è,
si lavora con un impegno che in fabbrica ho visto raramente,
a volte capita qualche screzio, è ovvio, ma tutto fila liscio che è una bellezza
C’è qualche errore, rarissimo: iersera per esempio
è tornato indietro un piatto di grigliata
perché volevano il coniglio in porchetta
e qualcos’altro che non ricordo (patate fritte fredde, mi pare)
ma ‘ste cose succedono rare volte
e quando capitano Mauro guarda e sta zitto
ma è come una frustata.
Domenica arriva Berlinguer (Luigi, il fratello)
solo a sentire quel cognome ci tremano i polsi,
credo che sia stato il Segretario più amato
e poi eravamo qualcuno, eravamo comunisti!