mercoledì 21 marzo 2018

La Cunilla


S’era innamorata come facevano e fanno ancora tutte le ragazze

ma il suo era un amore più assurdo che impossibile,

era troppa la differenza sociale, lui dottore e lei…niente,

lei faceva parte di quella umanità che non si capisce come faccia a vivere,

fatta di disoccupazione, digiuno e privazioni d’ogni sorta

una fetta di genere umano disumanizzata

che essa stessa si sentiva immeritevole di ogni considerazione.

A volte passavo davanti a casa loro e vedevo dalla porta sempre aperta il vano buio

e il pavimento di terra e mi dicevo che in quelle condizioni era difficile anche sognare.

E invece lei un sogno ce l’aveva, era forse impossibile ma se non ci sono i sogni

non sarebbe possibile niente, anzi, soprattutto quelli impossibili sono i più stimolanti

e lei era talmente stimolata dal suo sogno

che le nasce la voglia di una condizione migliore

e nella mente di una giovane ragazza innamorata

cominciano a frullare strani pensieri fino al giorno in cui prende la corriera,

va in città e si mette ad aspettare sotto un ponte.

Non c’è molto da aspettare e dai primi incontri che la fanno arrossire

si fa presto a passare a un mestiere consolidato, il prezzo basso e il passaparola

fanno diventare quel posto più frequentato di un forno di paese.

Lei si divide tra i clienti e a tutti fa fretta perché

“Mi parte la corriera e ancora c’è qualcuno che aspetta. Muoviti dai fai in fretta”

e tutti di dimenavano come matti per fare alla svelta finché,

non conoscendo il suo vero nome, cominciano a chiamarla “La Cunilla”

(La Coniglia) per la velocità con cui quei simpatici animali fanno le loro trombatelle.

Certo in paese la differenza si vede, vestiti nuovi, un filo di rossetto, parrucchiera

e soprattutto passeggiate in piazza dove non s’era praticamente mai vista.

Ma la vita è strana e quando a casa si accorgono di questi facili guadagni

le mettono di fronte il resto della famiglia da sfamare e a quel punto

non è difficile capire che lavorare veloci va bene ma c’è un limite a tutto

anche se chi aspetta il pane con la bocca spalancata pare non saperlo

e quando non ne arriva abbastanza (e non è mai abbastanza) s’incazza e gliene fa una colpa.

 

Ieri ero in paese e passando in piazza l’ho vista camminare incerta

lì per lì non l’ho riconosciuta, poi ho creduto di conoscerla ma non mi ricordavo chi era,

ma alla fine ho capito che era lei, ma certo che era lei, la Cunilla!

Ho idea che in paese quasi nessuno conosca il suo vero nome,

Anna, sarebbe anche facile ma il paese si divide in classi

e la classe di Anna non prevede un nome

e per il branco di coraggiosi pecoroni di paese Cunilla è perfetto.

Oggi vive ( si fa per dire) in un ricovero

e siccome è ancora fisicamente autonoma

esce a fare piccoli servizi, a comprare questo e quello

e non manca di passare davanti a qualche bar

a chiedere per favore un bicchiere di vino

e allora tra due chiacchiere e una pacca nel sedere

qualcuno che paga lo trova sempre.

In paese di bar e d’osterie ce n’è parecchi e quando li hai girati tutti

non è facile stare in piedi e allora si siede su uno scalino

ad aspettare che la sonnolenza passi

o ad aspettare che un’anima buona l’accompagni al ricovero

dove lei non vuole che si suoni il campanello

per non far sapere che anche quel giorno ha girato parecchi bar

e allora rimane a terra sdraiata sul selciato sotto la loggia.

 

La Cunilla Anna è una che ha dato, ha dato soltanto

senza ricevere e anche stasera sotto quel loggiato

avvolta in un cappotto da cui non importa se si staccano i bottoni

o che si sporchi tanto non è suo, è solo di terza mano

ecco, anche quei vestiti cha ha indosso nessuno li ha dati ad Anna,

qualcuno li ha messi in una busta e li ha buttati sotto la loggia

perché era più facile che portarli nel bidone.

Sdraiata lì sotto e dentro quei panni forse Anna sogna

di essere tornata bambina a pestare scalza un pavimento di terra

quando chissà mai abbia avuto qualche sprazzo di innocente felicità.