Quando vivevamo a Porto Fuori di Ravenna babbo faceva
l'imprenditore edile,
aveva una ditta che lucidava pavimenti e applicava il marmo
che costruiva zia nel cantiere di nonno.
Il cantiere era di nonno ma non ho mai capito perché fosse
solo di zia,
ho sempre avuto il sospetto che babbo doveva averne
combinate qualcuna delle sue.
Stavamo in una bellissima casa col giardino grande dove c'era anche la vasca dei pesci
con lo zampillo c'era anche la voliera con le tortorelle che prendeva tutto il posto sotto la scala,
con lo zampillo c'era anche la voliera con le tortorelle che prendeva tutto il posto sotto la scala,
dietro casa c'era una piccola vigna e l’orto
quello che lo faceva,
non mi ricordo il nome,
prendeva sempre accordi con babbo per vedere cosa piantare
e babbo mi pareva un grande intenditore di ortaggi
perché diceva questo e quello e che si faceva così e cosà.
Con noi a Porto Fuori c'era la Maria Romualdi che era la
moglie di Romualdi,
che era il capo operaio di babbo
il nome di lui non lo ricordo perché tutti lo chiamavano per
cognome
lei aiutava mamma nelle faccende di casa perché mamma stava
tutto il giorno all'asilo
e andava via presto, quando vedeva la Elide davanti alla
casa del popolo partiva
la Maria
mi faceva fare colazione e poi mi vestiva per andare a scuola
e mi metteva il cappotto che io lasciavo regolarmente in
fondo alle scale
perché non lo volevo mettere e poi le urlavo
“Ciao Maria il cappotto è qui!”
E scappavo via, lei poveretta me lo portava a scuola
e si raccomandava con la maestra che me lo mettesse
all’uscita.
La domenica andavo a servire la messa che la diceva Don
Fuschini,
la chiesa era sempre piena di donne perché gli uomini
stavano fuori,
sotto il sagrato e non venivano dentro e allora lui quando
faceva la predica
faceva aprire il portone anche quando era freddo
e si incazzava e gli diceva che erano comunisti senza Dio.
Non capivo molto di politica ma babbo parlava di Mussolini
e a me pareva che fosse un eroe ammazzato da dei banditi…
Il giovedì sera i Romualdi venivano a casa nostra
e venivano anche gli altri operai di babbo e qualcuno
portava la sedia
perché non bastavano per tutti,
si stava nel salone a vedere lascia o raddoppia,
io mi mettevo vicino alla Maria e stavo in piedi con la
testa sulle sue gambe
a vedere la televisione di traverso e mi pareva sempre di
vederla per dritto
e allora rizzavo la testa e poi la rimettevo giù e mi pareva
una cosa magica
vedere la televisione per dritto anche se stavo di traverso.
Avevamo una televisione che era marcata Telefunken
con una scatola sotto che aveva il pulsante per accenderla
a me mi avevano detto che era pericolosissimo toccarla
e che se si rompeva il vetro veniva giù un sacco d’acqua che
allagava tutta la casa
non capivo bene come facesse a starci tutta quell’acqua lì
dentro
ma io, già che solo il nome Telefunken mi metteva paura,
passavo sempre alla larga e a volte di nascosto mi facevo
coraggio
e andavo a vedere se dal vetro si vedeva qualcosa
ma niente, mai che avessi visto una goccia d’acqua.
Quando si tornava in paese si andava con un camioncino FIAT
millecento
che aveva il muso più lungo del cassone,
babbo si incazzava per tutto il viaggio con gli altri
automobilisti
e anche con mamma che gli diceva di star calmo e andare più
piano.
Poi è arrivata la Dauphine Renault
e che si pronunciava Dufin Renò
a me sapere come si pronunciava mi pareva di aver imparato tutta
la lingua francese
però se Renò poteva essere Renato, con Dufin non mi veniva
in mente niente
e quindi credevo che fosse il nome di un gran signore che
stava in Francia a fare automobili,
così quando si giocava alla guerra io e Silvano eravamo
Telefunken e Dufin
ma facevamo una volta per uno perché Dufin ci pareva il nome di uno che perdeva sempre.
ma facevamo una volta per uno perché Dufin ci pareva il nome di uno che perdeva sempre.
Il vino lo compravamo alla cooperativa che stava vicino alla
scuola
e me lo mandavano a prendere a me, ne prendevo un fiasco
e una volta per vedere se era duro l’ho sbattuto in un palo
della luce
e quando il fiasco s’è rotto son corso dalla Maria Romualdi
che è andata a prenderne un altro
e m’ha mandato a casa dicendomi di non dire niente e
nessuno,
difatti è la prima volta che lo dico anche perché
far sapere che sbattevo i fiaschi nei pali della luce non ci
faccio una gran figura.
Giocavo con Silvano e andavamo a prendere i girini nel fosso
per fare l’allevamento delle ranocchie
ma non sapevamo cosa dargli da mangiare
e allora buttavamo nel secchio tutto quello che ci capitava
di commestibile
e anche le pillole per il mal di testa che fregavo a mamma
non siamo mai riusciti a farli vivere abbastanza da vedere
un ranocchio.
Una volta ne avevamo pescati così tanti che nel buzzo della
passata di pomodoro
c’erano più girini che acqua e allora li abbiamo messi nella
vasca dei pesci del giardino
quando babbo l’ha vista ha detto di toglierli tutti
però da terra non ci
riuscivamo e allora abbiamo tolto il tubo che faceva da tappo e da livello
e sono entrato nella vasca a prendere i girini con un retino.
Alla fine dell’operazione i girini li avevamo presi tutti
ma si contava anche qualche pesce rosso morto
allora la Maria di Romualdi che ci aveva visto è corsa da noi
e ha rimesso il tubo e l’acqua nella vasca
e a me m’ha portato a casa e m’ha cambiato i panni che erano
tutti molli.
A pensarci adesso riconosco che m’ha salvato un sacco di
volte dalle sberle la Maria.
Qualche anno fa sono tornato a Porto Fuori e ho ritrovato la
nostra casa
il giardino non c'era più perché ci hanno fatto passare una
strada ma la Maria
c'era ancora
e quando le ho detto chi ero mi ha abbracciato e si è messa
a piangere
e non finiva più di accarezzarmi tanto che ero
imbarazzatissimo
e a momenti piangevo anch’io, anzi forse l’ho fatto
ma non mi pare il caso di dirlo qui davanti a tutti.
Giorni fa mi ha telefonato la Mirella e m’ha detto che
l’hanno chiamata da Porto Fuori
e le hanno detto che la Maria Romualdi è morta, aveva più di
novant’anni,
e allora in questi giorni mi son venuti in mente i ricordi
d’allora.
Prima o poi s’ha da morire tutti, ma della Maria Romualdi
mi dispiace davvero
chissà se si sarà mai ricordata di me e del mio cappotto
comunque glielo dico adesso, chissà che non mi senta
“Ciao Maria il cappotto è qui!”.