Il carcere era dentro il palazzo del comune,
bella costruzione medievale in pietra
in parte modificata da Francesco di Giorgio Martini alla
fine del ‘400.
Le finestre con le inferriate davano su un cortile interno
a cui si accedeva da un portone sempre aperto
o almeno bastava spingere un po’ più forte per aprirlo,
le poche celle non erano occupate quasi mai
e quelle rare volte che c’era qualcuno
erano inquilini accusati di schiamazzi notturni dovuti a
ubriachezza
e comunque il ceto degli avventori era davvero infimo
perché figuriamoci se era tollerabile che colà fosse
alloggiato un benestante!
A volte c’erano dei disgraziati che soggiornavano per qualche mese
A volte c’erano dei disgraziati che soggiornavano per qualche mese
per ruberie tra contadini o villanie del genere.
Uno di questi era Viturin, condannato per gravi reati
ai danni del padrone del podere
sul quale si spaccava la schiena lui e il resto della
famiglia.
Praticamente aveva preso una gallina e il padrone lo
denunciò.
Hai voglia Vitturin a dire che era sua,
Hai voglia Vitturin a dire che era sua,
il Pretore credette al padrone e lui finì in cella come un
frate penitente.
Per noi bamboccetti la notizia del carcerato,
Per noi bamboccetti la notizia del carcerato,
descritto da tutti come un ladrone farabutto abituale, fu
una vera manna.
Tutti i giorni, all’uscita da scuola, si passava nel vicolo
tra san Domenico e il comune
dove c’erano i pisciatoi e nel passare ci si buttava dentro
a spintoni
a volte nella foga di spingersi ce ne cascavano anche due o
tre
allora si scappava di corsa per paura della vendetta.
All’uscita di scuola, dicevo, si andava davanti al carcere,
All’uscita di scuola, dicevo, si andava davanti al carcere,
si apriva spingendo forte e in silenzio si andava nello
spigolo dietro al portone
dove c’erano vere montagne di cacca dei piccioni,
si facevano delle palle come fosse neve
e quando ne avevamo confezionate un paio a testa si tiravano
nella cella di Viturin
urlando a squarciagola tutto quello che ci veniva in mente:
“Ladro” “Delinquente” “Assassino”…
Le palle si frangevano sulle inferriate,
Le palle si frangevano sulle inferriate,
ma qualcuna entrava dritta in cella dalla finestra aperta;
allora si urlava ancora più forte: “E' la mia!” “No, è la
mia”
La diatriba poteva sfociare facilmente in una lite collettiva,
La diatriba poteva sfociare facilmente in una lite collettiva,
perché c’era chi dava ragione all’uno o all’altro
ma al momento non si poteva perder tempo perché Ernestino,
il guardiano del carcere,
scendeva le scale di corsa e con urla inumane ci rincorreva;
oddio non rincorreva molto perché era zoppo
quindi avevamo anche il tempo di fargli qualche pernacchia
prima di scappare.
Successe un giorno che Viturin all’ora del pasto riuscì a sgattaiolare dalla porta e scappò via. Ernestino, pensando che la fuga dipendesse dalla pessima qualità del rancio,
Successe un giorno che Viturin all’ora del pasto riuscì a sgattaiolare dalla porta e scappò via. Ernestino, pensando che la fuga dipendesse dalla pessima qualità del rancio,
gli urlò dietro:“Viturin arnit v’ darem l’ummid”
Da in fondo alla scala il fuggiasco risponde:“Pén e cpolla a chesa mia”
Ernestino ormai disperato gli grida ancora:“Viturin arnit, m fèt perd el post”
Ormai Viturin aveva guadagnato il portone,
Da in fondo alla scala il fuggiasco risponde:“Pén e cpolla a chesa mia”
Ernestino ormai disperato gli grida ancora:“Viturin arnit, m fèt perd el post”
Ormai Viturin aveva guadagnato il portone,
ma in un lampo di genialità ricaccia dentro la testa nel
cortile e grida:“Pia ‘l mia!”.
La traduzione non rende, ma per far capire anche ai non autoctoni la scrivo lo stesso.
“Tornate Viturin vi daremo l’umido”
“Pane e cipolla a casa mia”
“Tornate Viturin, mi fate perdere il posto”
“Prendi il mio!”
La notizia della fuga di Viturin scosse il paese
La traduzione non rende, ma per far capire anche ai non autoctoni la scrivo lo stesso.
“Tornate Viturin vi daremo l’umido”
“Pane e cipolla a casa mia”
“Tornate Viturin, mi fate perdere il posto”
“Prendi il mio!”
La notizia della fuga di Viturin scosse il paese
e la descrizione di Ernestino ormai era di dominio pubblico:
se ne parlava nei bar e nelle barberie,
noti luoghi in cui si decideva su questioni politiche e
sociali
finché venne a galla il fatto che
i bambini andavano a tirare merda di piccione nella cella
del “povero“ Viturin
e questa era senz’altro la causa della sua fuga.
Non ci volle molto per scoprire chi fossero quei malnati tiratori.
La prima punizione arrivò da mamma che, con uno schiaffone a sorpresa,
Non ci volle molto per scoprire chi fossero quei malnati tiratori.
La prima punizione arrivò da mamma che, con uno schiaffone a sorpresa,
mi accolse in casa un giorno di ritorno da scuola.
Giuro che mi fischia ancora l’orecchio.
La punizione più dura arrivo da nonna
La punizione più dura arrivo da nonna
che mi disse che la nostra era una casa di onorati
socialisti
e non lo saremmo stati mai più (onorati).
Non sapevo esattamente cosa volesse dire socialista,
Non sapevo esattamente cosa volesse dire socialista,
ma doveva essere una faccenda importante un bel po’.
La punizione più bella arrivò da nonno
La punizione più bella arrivò da nonno
che appena mi sedetti a tavola mi disse” Hai lavato le
mani?”
La punizione più divertente arrivò dalla maestra
La punizione più divertente arrivò dalla maestra
che ci mise in quattro dietro la lavagna e,
siccome ridevamo e ci prendevamo a gomitate,
ci mandò a quattro zampe uno per cantone, faccia al muro carponi per terra,
ci mandò a quattro zampe uno per cantone, faccia al muro carponi per terra,
come fossimo animali disse lei,
al suono della campanella avevamo ginocchia e mani luride