Ero lì anche alla sua prima volta,
dietro la fabbrica dei martelli elettrici,
io li aspettavo seduto nella panchina del viale
e loro stavano in piedi contro il muro bruzzoloso
e quando si salutarono lei andò via per il cancelletto dei
Zoccolanti
e noi facemmo il giro per di sopra
ad un certo punto vedo che gli viene giù un pisciarello di
sangue da una mano
“Ma com’è che sanguini?” “
Và?! Non m’ero accorto, è perché il muro le faceva male nella
schiena
e allora c’ho messo le mani”
E anche nell’altra mano si vedevano le nocche tutte
scorticate
“Adesso cosa gli dico a mamma”
Eravamo ancora bambini
Nell’orto della casa vecchia aveva un giuggiolo
e alla fine dell’estate eravamo sempre lì sotto a
riempirci la pancia
e a sputare gli ossi dentro un urinale smaltato bianco
con una riga blu sul bordo che era ormai in disuso da
anni
e come tutte le cose di famiglia era un peccato buttarlo
il gatto s’avvicinava e noi allora lo prendevamo a bersaglio
e lui scappava di corsa che pareva gli facevano schifo gli ossi
sputati.
S’andava in cima al monte Petrano a correre e a fare
ginnastica,
con tutto il posto e l’aria buona che c’era in paese
noi due facevamo 12 chilometri per correre un’ora nei prati
che come quelli non ce ne sono da nessuna parte
e per diminuire la pancetta che cominciava a farsi vedere
ci sbudellavamo mettendo buste di plastica sotto la maglietta
e il sudore colava giù per la tuta che pareva l’avessimo
fatta addosso.
Era il più grande allenatore di tutti i tempi,
ha tirato su tutti i giovani dal ’70 in poi e tutti si
ricordano del mister Bongo
e l’ha fatto solo per passione e tutti quei ragazzi lo
sapevano
e gli volevano un bene dell’anima,
quando s’andava a spasso ogni due metri c’era qualcuno che lo
salutava
e lo fermava per dire questo e quello
e parlare di
pallone e lui li conosceva tutti,
Mai una volta che avesse inveito contro l’arbitro,
solo una volta quando tre giocatori cascano in area,
l’arbitro fischia e lui gli grida “Perché?”
L’arbitro risponde “Gioco pericoloso”
E lui “ Ma se hanno inciampato per terra, tutt’al più sarà
gioco pericolante”
E’ passata alla storia.
Aveva la macchina piena di cartellini da consegnare ai
ragazzi
io glieli mettevo in ordine alfabetico
e ogni volta lo rimproveravo perché non ne aveva consegnati
abbastanza.
E anche le ricevute del parchimetro gli mettevo in ordine
e son sicuro che quando scendevo lui le mischiava come
un mazzo di carte
perché quando salivo la settimana dopo erano di nuovo
spaiate
“Perchè non le butti via? Manca quella di giovedì,
non
sei stato in piazza giovedì?”
“Ma fatt’i cazzi tua… sono andato a fare una visita
per
il morbo di Dupuytren che c’ho il mignolo piegato”
S’andava in camporella in compagnia sul monte Catria
e un giorno lo vedo davanti a me che sbandava e quasi finiva
nel fosso,
lo schivo per miracolo, lo supero e quando scendo
dalla
macchina lui era già fuori
“Che cazzo fai?”
“Niente, niente tranquillo non è successo niente”
poi capisco “Ma Dio bono, fra 5 minuti siamo arrivati!”
“Allora? Te ne frega qualcosa se io m’avvantaggio?”
“Perché ti sposi con lei?”
“Perché sennò il padre e il fratello m’ammazzano,
son dieci anni che siamo insieme
e poi della compagnia siam rimasti solo noi due, chi
devo sposare?!”
“A me mi sta sul cazzo, quella ti porta via dal paese e ti
rovina la vita”
La vita non me l’ha rovinata ma dal paese siamo andati via.
Son tornato per toglierti dalla piazza che era diventata un
obitorio,
sei venuto via leggero quasi aspettassi che arrivassi a
portarti via,
abbiamo cominciato il gioco dove te dicevi una parola
e io rispondevo come avrei fatto una vita fa,
ci controllavamo per vedere quanto c’eravamo persi
e eravamo felici nel vedere che niente s’era perso nel
ricordo,
nella ironia di un commento a volte maligno
“Son preoccupato” “Di cosa” “Ci divertiamo troppo”.
Sti ultimi tempi s’andava a mangiare in campagna dal Bociolo
un piatto di pasta una insalatina e un bicchiere di Arneis il
tuo preferito,
solo noi tre dicevi ed era un noi che escludeva tutti gli
altri.
“Oh Pà (e già se mi chiamava per nome vuol dire che era cosa
seria)
st’ultimo mese son calato 5 chili e non sto bene per niente”
100 giorni, solo 100 giorni.
Alle nove e mezza m’ha chiamato il Bociolo
che di solito a st’ora è già a letto
e quando ho visto il nome sul telefono m’ha preso un
colpo
e adesso son qui che penso a noi alle femmine,
alle gite a
cercare il vino in Piemonte, Friuli,
alla fregatura nel Lazio, sul Garda o
nella bassa Marca,
s’andava a zonzo per i paesi facendo finta d’esser sobri
e invece a forza di assaggi si viaggiava leggeri
che la
gravità ci faceva un baffo.
Uno dava una pacca nel sedere alla Leti
e quando lei si girava l’altro gli metteva le meni nelle
tette
“Questa è maleducazione bella e buona!”
“Bella e bona sei te!” e l’abbracciavamo sicuri che fosse
felice
e infatti lo era perché a noi due era concesso tutto.
Posso andare avanti per anni a scrivere
le stupidaggini
che abbiamo fatto insieme,
bastava un’occhiata a capirsi e spesso manco
quella,
uno partiva e l’altro sapeva già dove s’aveva
d’arrivare.
“Non te lo volevo dire ma iersera ho baciato la Giannetta”
“Sei un maniaco con tutte quelle che ci sono in giro
proprio a lei devi rompere l’anima”
“Manco c’avesse la rogna, sempre femmina è”.
Una volta alla parata del 2 giugno mentre s'accingeva a sfilare
passa il Bociolo ritto sul nuovo carrarmato Leopard,
lo chiama urlando e lui fa fare il presentat arm al plotone,
gridando "Onore al Bociolo!"
C'è voluto uno zio monsignore a risparmiargli la galera a Gaeta.
Sono stato a trovarlo una volta sola
e ho capito che si vergognava a farsi vedere in quello stato
in tutta la mattinata l’unico sorriso
l’ha avuto per la
nipotina che lo stuzzicava.
L’ho visto sconfitto senza aver lottato
lui che da terzino della lotta ha fatto una ragione di vita
una lotta spesso impari che andava comunque fatta
per portare a casa una partita o per salvare l’onore
e quando la partita è diventata la sua gli son mancate le
forze.
Questa cosa è stata la più dolorosa,
saperlo guerriero
e non vederlo combattere
un Galata morente
ferito nell’anima, non ho sopportato quella vista
e l’ho salutato come non mi fossi accorto della sua resa
una finzione stupida che lui ha capito benissimo.
Gli ho telefonato e ho continuato anche quando non rispondeva
sicuro che vedendo il mio nome sapeva che l’avevo pensato,
a me bastava, non so, forse bastava anche a lui.
Durante la funzione mi son trovato a pensare
che sarebbe stato meglio fosse toccato a un altro,
ecco, a lui per esempio, perché non a quello lì o questo qui
dietro
che c’hanno anche un anno in più?
Ho provato fastidio della vita della gente che mi stava
intorno,
avrei voluto dirglielo che lui aveva diritto di vivere più di
loro,
ed è lì che ho maturato l’idea che non sarei più tornato in
paese
che adesso mi pare più desolato d’una stazione di treni
e anche se ogni tanto mi tocca faccio i vicoli e rasento i
muri.
A volte mi chiama Vincenzo e anche il Bociolo che imbranato
com’è
ha imparato a mandarmi messaggi,
capisco che vorrebbero parlare di lui ma non gli do
l’occasione,
due convenevoli e saluti, è già troppo così.
S’è portato via un pezzo di me, l’ha preso da dentro;
adesso per campare può bastare quel che mi resta
per vivere toccherà fare qualche sforzo in più
e così quando toccherà a me avrò meno interesse a star
qui
e andrò via più a cuor leggero.