Quando
mia madre m’ha visto sulla porta sapeva già che ero scappato,
tant’è
vero che a casa con lei c’era anche il padre di Rolando.
Capii
quindi che quelli del collegio li avevano avvertiti.
Mi ha
chiesto se avevo fame.
Veramente
avrei mangiato un bue,
ma
per contrizione dissi di no e mi pentii subito.
Eravamo
scappati dal collegio due giorni prima,
ma,
siccome la prima volta, quando avevo visto il camion di Santi, ero
saltato sul cassone
e lui mi aveva visto e mi aveva riportato indietro,
e lui mi aveva visto e mi aveva riportato indietro,
stavolta
avevo deciso di farla tutta a piedi:
in
tasca qualche pagnotta di pane presa al refettorio e via di corsa.
La
notte l’abbiamo passata dentro un pagliaio, nel buco dove di solito sta il
cane.
Il
cane non c’era e non c’era nemmeno il padrone, non c’era proprio nessuno,
era
tutto abbandonato così ci siamo andati noi.
Al
principio avevo paura delle bisce, ma poi mi son detto che in un pagliaio
non
c’è niente da mangiare per i topi quindi nemmeno per le bisce,
così ci
siam fatti coraggio a vicenda, io e Rolando
facendo
credere, anche a noi stessi, d'essere uomini
e poi
mi sono addormentato quasi subito.
“Perché
sei tornato?”
“Così”
“Adesso
cosa vuoi fare?”
“Domani
torno giù”
Era
successo che, dopo cena, uno dei preti mi aveva chiamato nella sua stanza
e si
era messo a farmi una gran predica sullo studio e sulla disciplina,
ma,
quando mi ha preso le mani e me le ha tenute tra le sue,
ho
avuto una strana sensazione e me la sono data a gambe.
Sono
corso in camerata e ho dato uno scossone a Rolando
che
dormiva nel letto vicino al mio
“Vado
via”
“Vengo
anch’io”
“Perché?”
“Perché
vai via te”
Non mi ha mai chiesto niente sul
perché,
a lui bastava che si stesse
insieme e anche a me bastava,
consapevoli tutti due che il nostro cameratismo
ci dava quella forza che da
soli non avevamo ancora.
In collegio c’era uno che
chiamavamo Topo Gigio
non credo di aver mai saputo il
nome:
ma per uno come lui un soprannome era anche troppo,
aveva
la faccia da topo vero, coi denti davanti che erano sempre in vista
era
un po’ più grande di noi e ci controllava tutti.
Se
andavi al cesso potevi trovartelo aggrappato al muro divisorio che ti guardava
dall’alto.
Era
sempre appostato dietro una porta o lo spigolo di un muro che spiava qualcuno.
Non
ho mai capito che classe frequentasse
e la
sera in camerata arrivava quando
noialtri eravamo già a letto.
S’eran
fatte un sacco di ipotesi su questi comportamenti,
ipotesi
che andavano dalla semplice spia per conto del prete
a
faccende più scabrose che nessuno diceva in modo esplicito.
A me
francamente era sempre sembrato un po’ ritardato
anche
nell’aspetto, era alto, ma camminava con passi corti e svelti
e
quando io e Rolando lo vedevamo nel cortile
ci
mettevamo a camminare come lui e lui, sentendosi preso in giro,
ci
rincorreva correndo con le gambe tese senza piegare le ginocchia
e noi
correvamo come lui finché si sfiatava e si sedeva su uno scalino ansimando.
Non
c’entra niente con la storia della fuga
ma
m’è venuto in mente e allora l’ho scritto.
Siamo
tornati il giorno dopo con la corriera ben coscienti delle botte che avremmo
avuto,
ma la
stanza delle punizioni e il salto del pranzo non mi spaventavano:
qualche
amico mi avrebbe buttato di sicuro qualcosa
dalle
grate della finestra e in realtà lo fecero.
Quello
che non mi aspettavo era il frustino.
Avrei
voluto fare l’eroe rimanendo in piedi per tutto il tempo della punizione,
ma
non ci riuscii e questo fu il rammarico.
Il
dolore e i segni passarono, il rammarico no.
Quando
la porta si aprì per la fine della punizione
mi portarono
in cortile dove tutti facevano la ricreazione.
Ci
volle qualche giorno perché qualcuno si avvicinasse a parlarmi,
ma la
mattina a scuola anche i compagni più schivi mi dimostrarono amicizia.
e
questo mi consolò.
C’era
in giro la voce che eravamo scappati perché avevamo rubato da mangiare nel
refettorio.
Ogni
compagno che ce lo diceva aggiungeva di non crederci.
Eravamo
diventati una bella coppia di eroi sfigati.
Nel
cortile però, quando i preti ci vedevano, nessuno si avvicinava,
solo
quel Topo Gigio mi stava attorno a chiedermi cosa era successo
“Non è successo niente, avevo solo voglia di
andare a casa”
Quando
vidi Rolando gli chiesi cosa gli avessero fatto
“Niente,
aspetto, qualcosa mi faranno di sicuro”
Non
gli fecero mai niente.
Solo dopo
capii che quello era il loro tentativo di dividerci e far finire la nostra
amicizia.
Non
ci riuscirono e siamo rimasti amici per altri vent’anni
finché
l’aids l’ha portato via, quello si c’ha diviso.
Rolando
fu il primo capellone della storia del rock;
da
bambino gli si rovesciò una pentola di acqua bollente sulla testa
e i
capelli non gli crebbero più per tutta la parte che va dal cervelletto a dietro
quindi
lui si faceva crescere quelli sopra per coprire la calvizie
la
mattina mi diceva di metterglieli a posto e io gli dicevo
“Oh, Rolando
t’è cresciuto un pelo, te lo stacco così lo vedi”
Prendevo
un capello dei miei e glielo mettevo davanti al naso.
Ormai
non s’incazzava più, era sfinito, ma solo io potevo scherzare sulla sua
calvizie.
Chiunque
si fosse azzardato… non so mica cosa gli avrebbe fatto!
Quando
s’andava al fiume lui stava sempre con
la maglietta
per
coprire le cicatrici della scottatura che aveva sulla schiena, ci faceva anche
il bagno,
si
metteva a dorso nudo solo se non c’era nessuno oppure prendeva il sole davanti,
stando
sdraiato sulle rocce.
Dovevano
essere un bel complesso quelle cicatrici che non poteva vedere!
Si
era impiegato alla SIP, ma, stanco della routine, andò a fare qualcosa in
Inghilterra.
Tornava
ogni tanto e sempre con una ragazza e una macchina diverse.
Una
volta venne con un cab e girammo tutta la provincia con ‘sto taxi nero
e il
portellone dietro semi aperto
da
cui uscivano i piedi di due manichini sovrapposti, come se trombassero.
C’abbiamo
girato per una settimana,
col
prete di Pianello incazzato nero che usciva dall’osteria per urlarci dietro.
Poi
se n’è andato e voleva che andassi anch’io,
e per
convincermi mi diceva tutti i giorni delle meraviglie di Londra:
le
ragazze, la musica dei Led e dei Pink (una comune passione) e i soldi facili…
ma
quello migratore era lui, io ero stanziale e allora non se ne fece niente.
A volte salivo in macchina e lui mi diceva
"Pà, va dove ti pare intanto io viaggio per conto mio"
A volte salivo in macchina e lui mi diceva
"Pà, va dove ti pare intanto io viaggio per conto mio"
Ogni
tanto gli dicevo di smetterla, convinto che non lo avrebbe fatto,
però avevo
bisogno di dirglielo, sennò che amico ero?
E lui
aveva bisogno di sentirselo dire, sennò che amico aveva?
L’amicizia
si nutre anche di queste sottigliezze.
Finché
una volata invece di tornare lo riportarono.
L'anno dopo dissi
a mia madre che piuttosto che tornare lì smettevo di studiare
e
allora quando la scuola finì mi venne a prendere
e chiese
indietro il materasso che avevamo portato da casa all’inizio dell’anno,
risposero
che al momento non lo trovavano,
ma che ce lo avrebbero mandato fra qualche
giorno.
Non
arrivò mai e quell'estate dormii sulla rete
usando
come materasso la coperta imbottita dell’inverno.
Di questa fuga dal collegio più che la vicenda in sè mi è piaciuta molto la descreizione dell'amicizia fra te e Rolando e la considerazione che hai degli amici in generale e mi sembra di averti sempre conosciuto
RispondiEliminale amicizie d'infanzia, specie quelle temprate da insostenibili mondi adulti meschini, sono indissolubili
RispondiEliminaQuesto racconto vale un trattato sulla società degli anni di cui racconta Paolo che non trascura gli stati emozionali, efficacemente sottolineati dall'asciuttezza della scrittura. Il lettore, alla fine, non può che rimanere attaccato a quel bimbo che dorme sulla rete, la trapunta a materasso.
RispondiEliminaBravo!
Amicizia e bambini, preti e frustini... che aria familiare, ripensando a un certo romanzo... :-))))
RispondiEliminaOttimo racconto, fratello.
I capelli di Rolando, che tu aggiustavi.
RispondiEliminaChe poesia :)
Il collegio è stato il mito della mia infanzia, così come la colonia.
RispondiEliminaMi pareva fossero posti ambiti e appetibili. Certamente non ero normale, e fortunatamente non li sperimentai mai.
Ma che fonte di ispirazione quelle esperienze!
Mi è piaciuto il tuo racconto, e il racconto dell'amicizia incondizionata tra bambini che è una delle cose che più mi commuove
mi ha commosso questo racconto, caro Massimo, commosso è dire poco, mi ha suscitato un altalena di sensazioni, che sarebbe difficile spiegare a parole, sarebbe un po' come impoverirle. Quindi me le tengo per me, a te basti sapere che ci sono state. Forse i tuo miglior racconto in assoluto o diciamo quello che più mi ha permesso di entrare in profonda empatia con quel ragazzino che sei stato, un racconto capace di far vibrare note dolenti e dolci in perfetta armonia, in sostanza Musica.
RispondiEliminacon tutte le belle ricordanze che hai ci potresti scrivere un libro!
RispondiEliminaè commovente questo racconto...ma è davvero storia vera? non credo di essere più giovane di te , ma mi sembrano tempi lontani dalla mia infanzia, molto lontani o forse sarà perchè io sono femmina ?
RispondiEliminaComunque l'amicizia che hai portato avanti negli anni ha un che di dolce e di amaro, insomma mi è piaciuto molto!!
Penso anch'io che ci potresti scrivere un libro, la "vervé" dello scrittore ce l'hai....
PRONTI, SI COMINCIA
RispondiEliminaLUIGINA, l'amicizie è più forte del matrimonio, non si codifica e non ammette tradimenti.
AMANDA,si forse è vero ma credo che in genere tutte le unioni si cemetano con le difficoltà, quando l'unione diventa condivisione e complicità allora è forte.
SARI, non vorrei che in tutti questi raccontini ne uscisse solo Palin, lui non è che il tramite per far conoscere i suoi amici , il paese, i selci e i muri.Comunque si, c'è anche l'aspetto emozionale a volte mi esce equando rileggo si, insomma mi fa quell'effetto anche a me.
ZIO SCRIBA, No, fratello da te no, son venuto due volte di fila appena l'ho letto.
GIOIA, non solo, a volte gli mettevo due specchi perchè voleva vederseli, o gli tenevo il laccio, ma non si possono scrivere tutte le situazioni, poi ci si annoia a leggere.
NINA, lo sai che fino a quando non ho scritto il racconto la cosa per me è stata normale, poi rilegendo mi sono accorto anche io di quel che dici tu.
JANAS, pensa che fino a quando non ho cominciato a frequentare i forum e il web non mi ero accorto di quanta ricchezza avevo, da lì è nata la decisione di dire queste cose e sono contento di averlo fatto.
SILVIA, anche tu col libro! chi vuoi che lo compri un libro così! ci penserò ma l'ultima parola la lascio alla mia editrice ;))
ADRIANAAAA dal tuo blog intuisco che dovremme essere coevi. Vedremo Adri se si scrive te/ve lo farò sapere.
Ragazzi, io non capisco come fate a venire qui ogni volta ch c'è un racconto nuovo,
ho solo 4 follower, vi passate la voce?
Comunque vi voglio bene, azz se vi voglio bene!
Paoletto se uno mette chimismi minimi tra i suoi blog preferiti poi nella sua bacheca blogger trova l'avviso del nuovo post!
RispondiEliminaAMANDA, ebbene si! Credo che sia fatto apposta.
RispondiEliminaallora non ti domandare com'è che arriviamo a leggerli :D
EliminaUn ottimo e dettagliato ricordo di vita vissuta e di vera amicizia andava avanti per molto tempo. Certi episodi è davvero difficile dimenticarli.
RispondiEliminaAMANDA, me lo chiedevo perchè i follower sono solo 5 e invece qui siete una quindicina.
RispondiEliminaALDO, ai tuoi commenti ci tengo perchè anche tu scrivi di ricordi.
Forse il più bello tra i racconti che hai pubblicato fin'ora, di sicuro uno di quelli che hai "sentito" di più.
RispondiEliminaMi hai fatto tornare in mente un amico che da ragazzo aveva fortissimamente voluto chiudersi in seminario per dedicare la sua vita futura all'insegnamento della fede.
Dopo un paio di anni, per le stesse ragioni tue, scappò e diventò uno dei più sfegatati comunisti che abbia mai conosciuto.
Guarda che l'idea di farci prima o poi un libro non è mica tanto campata in aria!
Però nel frattempo continua a scrivere qui, che noi preferiamo commentare tutti assieme e avere il filo diretto con l'autore.
Mi ha colpito l'amicizia, quel legame che unisce ed a volte dura di più tra uomini..E' un bel racconto di vita, non ho provato il collegio ma so cosa significa scappare quando si sta male con certa gente...Un saluto Paolo.
RispondiEliminaQuesto erano i colleggi. Non lo so per esperienza personale, ma tanto ho letto e sentito.
RispondiEliminaMa i grandi non sapevano o pensavano che era giusto?
Allora anche i maestri picchiavano e forte e i genitori quasi sempre dicevano che era giusto così, i figli dovevano imparare l'educazione!
Un salutone Paolo Massimo.
AVVISO PER GLI AMICI/CHE DI PAOLO NUCCI MASSIMO !! Mi chiede di informarvi di avere pazienza perché per qualche giorno. a causa di problemi di salute abbastanza seri, non riesce a rispondere ai vostri commenti, né a inserire il nuovo racconto, e ringrazia per quelli nuovi Rirì, Beik Happel e Teresa Larizza, cui risponderà appena starà meglio
RispondiEliminaTanti e tanti auguri a Paolo sperando che tutto passi in fretta.
RispondiEliminaA presto Paolo e qualsiasi cosa sia tieni duro!! Ormai sei tutti noi:-) Un caro saluto.
RispondiEliminaGrazie Luigina, ma come Paolo non sta bene? Mi dispiace tanto, e pensare che sul mio blog,
RispondiElimina"teneramenteterry" gli avevo lanciato una sfida, spero che la potrà raccogliere al più
presto.Tanti auguri dunque di veloce guarigione e un affettuoso abbraccio anche a te che fai da tramite. Ciao.
Sono contenta che stai meglio e che mi hai risposto. Ciao.
RispondiEliminabeyk happel: Grazie del complimento, per il libro si vedrà.
RispondiEliminaRIRI: Non era un bel posto, ho fatto anche altri collegi, non erano un bel posto nessuno ma questo era il peggiore.
LUIGINA, grazie per l'annuncio, se non ci fossi te...
SARI, RIRI, TERESA: adesso sto meglio e credo che per la guarigione sia stato importante anche la vostra vicinanza.
Arrivederci a tutti.