domenica 7 aprile 2013

La casa bombardata



La linea Gotica era passata per il paese con i danni che aveva fatto dappertutto:
era stata bombardata la stazione, il ponte della ferrovia e una fabbrica,
l’unica che c’era e che meritasse questo nome,
tanto che ancora i vecchi chiamano “la fabbrica” il posto dov’era.
La guerra era finita da una decina d’anni e noi eravamo cresciuti
nel quartiere di Guazza, tutti insieme intorno alla casa bombardata,
una casa in via Fonte del Duomo della quale era crollata la parete laterale, portandosi dietro anche parte dei pavimenti.
Tutto quello che poteva essere riutilizzato era stato portato via.
Rimaneva soltanto un mucchio di calcinacci inservibili
che lentamente si sparpagliava nello slargo che si era formato.
Quello era il nostro posto, lì c’era la pista per le palline,
la parete per il battimuro, il gioco delle figurine e dei tappi a corona.
Le palline si compravano dalla Dele d’ Blich long
(termine che per pudicizia è meglio non tradurre).
La  Dele (Adele) aveva un negozio di fili e bottoni proprio davanti alla casa bombardata e i pochi spiccioli che si riuscivano a racimolare
bastavano per comprare sempre meno palline,
il cui prezzo variava  secondo le simpatie e secondo un’inflazione
che non riuscivamo ancora a capire.
Essendo nonna Gemma una rinomata sarta ero privilegiato sul prezzo
e quindi compravo spesso le palline per la comunità.
A dire il vero non ne avevo un gran bisogno per me
in quanto una innata abilità professionale
mi portava a vincere le palline degli altri.
In ogni caso il prezzo ufficiale era di dieci lire per tre palline
mentre al libero mercato, per la stessa cifra,
 se ne potevano comprare quattro o cinque.
Mi pare doveroso ricordare che le palline (mai usato il termine “biglia”)
erano di coccio dunque di approssimativa rotondità e dimensione.
Uno dei giochi era pressappoco come le bocce, la differenza stava nel fatto
che le palline dovevano essere tirate da una riga posta a sette passi dal pallino.
Altro gioco era il pancotto
che si giocava mandando le palline in una serie di buche.
Quando dopo qualche anno scoprii l’esistenza del golf,
pensai che gli americani lo avessero copiato da noi
e forse è nata li la mia avversione a tutto ciò che si fa o si dice in quel Paese.
Il gioco più frequente era il filotto: le palline venivano messe in una fila,
 posta verticalmente alla linea di tiro, fatta la conta si tirava
e la più lontana che veniva colpita era vinta insieme a tutte le precedenti.
Le tecniche di tiro erano diverse e ad ognuna veniva dato un nome,
oppure prendeva il nome di chi l’adottava coi risultati migliori.
Attilio, nel suo libro Palline miseria chitarre e speranza
(dal vicolo all’asfalto) ne descrive alcune molto bene  di quelle in uso in città

“C’era dunque il modo di Luciano, il bricoccolo e anche il tiro del cesso,
che consisteva nel colpire la pallina stando accovacciati.
Il colpo alla pallina poteva essere dato con l’indice
che scattava da sotto la falange del pollice
oppure dal pollice che scattava da sotto la prima falange dell’indice.
Il primo sviluppava certamente maggior potenza,
tanto che poteva succedere che le palline scontrandosi si spaccassero.
Il secondo, sebbene meno potente, era sicuramente più elegante
e le tre dita non usate, tenute sollevate davano ancora più eleganza al gesto”.

Quando comparvero le prime palline di vetro non ebbero un gran successo,
perché eravamo più attirati dalle palline di plastica con la figurina dei ciclisti all’interno.
La grande dimensione e il basso peso di queste prevedeva giochi di tipo diverso
e così cominciammo a costruire piste per far correre le nuove palline.
La pista era scavata tra i calcinacci e il terreno
ed era rigorosamente vietato pulirla prima del tiro
fatta eccezione dell’unanime consenso per sopravvenuto crollo di una soprelevata.
Altro gioco (sono fermamente convito della unicità dell’invenzione)
era il cannoncino Formitrol. che consisteva nel mettere acqua in un tubetto di alluminio
di Formitrol (medicinale per il mal di gola) e tapparlo con un sughero.
Il tubetto si appoggiava su un focherello improvvisato,
 in modo che all’ebollizione dell’acqua il tappo saltasse via.
I tappi venivano sagomati e provvisti di alette,
lavorati in vari modi sempre più sofisticati:
Non conoscevamo Von Braun, ma se ce ne avessero parlato,
avremmo concluso all’unanimità che aveva copiato da noi.
Vinceva ovviamente chi faceva andare il tappo più lontano.
Di quel periodo ricordo bene il mastello
che mamma metteva la mattina fuori dell’uscio e che serviva la sera a farmi il bagno.
Ero ormai abituato ad aspettare in mutande fuori di casa
e a chiamare mia madre quando ero già a mollo.
Lei arrivava e, ancor prima di lavarmi, mi assestava un brettone
(scappellotto dato sulla nuca, dove batte il berretto)
Non ne ho mai capito la motivazione, ma non mi sono mai opposto,
credendo che, più che per punirmi, lo facesse per propria soddisfazione
e dunque lo prendevo come fosse una missione per far felice mia madre,  
in fondo il manico della scopa era molto peggio.
Ne ho presi talmente tanti che ho ormai la certezza
che la mia artrosi cervicale dipenda da quelli.
Il trascorrere del tempo ci portava ad occupazioni di tipo diverso
facendoci abbandonare i vecchi passatempi per nuove attività.
Arrivò dunque il periodo delle guerre tra quartieri che,
se dapprima erano solo scaramucce, si trasformarono ben presto
in furiose sassaiole, con teste bucate da sconosciuti e botte prese dai familiari.
Nella nostra casa bombardata tutti i giorni ci si allenava alla battaglia con le cerbottane,
e, quando veniva colpito qualcuno, il tiratore urlava:“Morto!”
e il colpito ribatteva: “No, m’hai preso di striscio”.
Ovviamente si rimetteva il responso nelle mani di una giuria,
che giudicava tenendo in gran conto la simpatia e il carisma dei coinvolti. Ricordo una volta che Silvano Mezz’ett (mezzo etto per via della magrezza),
rincorrendo qualcuno, cadde con la cerbottana in bocca e si ferì-
Il sangue usciva dalle labbra anche se le mani stavano serrate sulla bocca,
la quantità di sangue e l’espressione di sofferenza ci fecero credere
che ormai non c’era più niente da fare tanto che quando qualcuno disse
“un eroe muore da solo” ce ne andammo tutti a testa bassa e in silenzio lasciandolo lì.
Non mi ricordo come andò a finire ma Silvano, l’eroe, ancora ce lo rinfaccia.

Era in quel periodo che io e il Bocciolo cominciammo a frequentare
il greto del fiume, al confine dei campi di tabacco di Veleno
e il campo di erba medica di Bartoccioni, suo nonno,
costruendo capanne con malta, sassi e frasche, manifestando una vocazione che ci portò fino all’università in un tentativo che prevedeva
lui ingegnere ed io architetto e che si risolse con lui geometra ed io a far mobili.
A quel tempo, la società elettrica cambiava i pali della luce di legno con quelli in cemento
e i nostri avversari di Pian del Vescovo avevano costruito una zattera
con parte dei vecchi pali.
Il Gran Consiglio di Guazza incaricò me a il Bocciolo, i più acquatici,
di sottrarre la zattera agli avversari.
Partimmo un pomeriggio col gratificante sostegno morale dei nostri compagni risalimmo il fiume, presa la zattera, ci appoggiammo sopra i nostri sandali,
ma nella cascata della chiusa la zattera si ribaltò
e un sandalo del mio compagno non si ritrovò più.
La perdita del sandalo di bufalo, venuto dai parenti argentini,
calzare di inestimabile valore, costò al Bocciolo indicibili privazioni
che fecero apprezzare ancor di più la portata dell’eroica impresa.
I complimenti di tutti nella sala della casa bombardata,
furono di grande soddisfazione, ricordo ancora le pacche di Silvanino Ronchetta (soprannome derivato da un membro non propriamente rettilineo),
di Luciano, di Luigi che una brillante carriera di centravanti lo portò fino alle vette dell’interregionale facendolo assumere di diritto in Comune in qualità di vigile urbano,
e anche di Vincenzo, il figlio della guardia che ci sequestrava i palloni
coi quali giocavamo sotto il porticato della scuola e che,
sequestrandoli a sua volta al padre, ce li riportava il pomeriggio dopo.
Il pallone aveva ormai preso in pieno i nostri interessi
e ci vedeva ormai professionisti con ruoli ben assegnati
e, anche se al campo l’allenatore si sforzava di darci ruoli diversi,
nessuno di noi si sognava di cambiare la posizione data dal cielo.
Io e Bongo eravamo terzini, Bocciolo portiere, Vincenzo (un altro) mediano
con Bellucci e Roberto Rossi (quello che oggi è il mio medico di famiglia) attaccanti,
altre posizioni non le ricordo.
E’ curioso e me ne accorgo solo ora, il modo di chiamarci,
alcuni di noi, io compreso erano chiamati per soprannome,
altri per nome, altri per cognome e altri ancora per nome e cognome,
sarebbe bello vedere se questo modo di chiamarci
abbia avuto qualche influenza sulla vita di ciascuno.
Le partite più importanti erano giocate contro i paesi vicini
e le organizzava chi, rimandato a Settembre,
andava a ripetizione da un insegnante fuori paese; dunque tutti,
perché una materia a Settembre, a quei tempi, non si rifiutava a nessuno.
Le offese che in campo fanno tanto scalpore oggi, allora erano all’ordine del giorno-
Mi ricordo che una volta fuggii da un attaccante che mi rincorse in giro per il campo
“solo” perché gli avevo detto che la prossima volta portasse una zia,
perché della madre e della sorella negli spogliatoi eravamo stufi.
In quegli anni iniziò il restauro della casa bombardata
e venimmo a sapere che non già una bomba, ma un crollo strutturale
(però durante un bombardamento) l’aveva demolita per metà,
Questo fu per me una delusione tremenda pari solo all’aver saputo,
un decennio dopo, che Lucio Battisti era di destra.
Ancora oggi, passando per la Fonte del Duomo, alla vista della nuova palazzina
che si erge sulle nostre piste non manco di ricordare il tempo e gli amici di allora.
L’unica cosa che mi rincuora e mi dà la certezza della bontà del restauro,
è il fatto che in essa è situata l’ormai storica sede del partito
il cui portone è sovrastato da una insegna luminosa,
che magari cambia un po’ spesso,
ma ha almeno il pregio di essere sempre nuova.

25 commenti:

  1. Ecco a me invece piacerebbe sapere se sono rimasti tutti peperini come te :)

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  2. Un autentico viaggio a ritroso nel tempo che ,come un flash back, ha risvegliato ricordi simili della mia infanzia che credevo dimenticati, quando ancora si poteva correre nei prati e nei campi senza pericoli per la salute e preferivo i giochi dei "maschi" a quello delle bambole. Comunque Lucio Battisti, se fosse ancora vivo credo non sarebbe più di Destra, forse un Grillino, e rimane uno dei miei cantautori preferiti, con Jannacci e Gaber. Complimenti come sempre per la tua capacità di mettere in luce l'umanità dei tuoi personaggi filtrata dalla tua

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  3. Riesco a vederlo il 'tiro del cesso',che manco una foto potrebbe essere più chiara.
    Per cerbottana, intendi quei piccoli coni di carta che a Milano chiamano 'petroli'?.
    Non mi aveva segnalato il racconto precedente, ma per fortuna l'ho recuperato; riesci a far divertire e a far commuovere con la stessa intensità.
    Buona giornata!
    Cristiana

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  4. Curioso, ho cercato in rete il significato di "Blich long ", purtroppo senza esito.

    Riguardo al "brettone" che tua mamma ti rifilava prima delle abluzioni, probabilmente lei non sapeva con precisione il perchè, ma sicuramente tu si.

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  5. Bene , m'è sembrato un filmino in bianco e nero! e io che credevo che solo a Napoli ci fossero gli scugnizzi ahahah! sei impareggiabile nel rievocare, bravo bravo...arcibravissimoassai! ciao, Lili.

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  6. Paolo gli occhiali! pEpErini non pApArini :D

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  7. Mi piacerebbe sapere il tuo soprannome:-) Come ti chiamavano? Sono troppo curiosa;-) Il tuo racconto mi ha fatto venire in mente episodi un po' simili, solo che la mia casa dei giochi era un palazzo "sgarrubbato" , che cadeva a pezzi...ma i giochi, le biglie sono simili, ero un maschiaccio:-) Paolo, mi piacciono i tuoi racconti di vita. Un caro saluto.

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  8. Gabriel García Márquez ha scritto: "La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla." Quindi, brettone compreso, la tua vita ha percorso sentieri che per quanto selvaggi e non privi di ostacoli, conserva paesaggi e luoghi, dove la natura e l'uomo hanno ancora un sapore autentico...non male come vita

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  9. AMANDA, nel finesettimana sono andato a Lazise a comprare il chiaretto e ne ho presi 10 litri per il Bociolo che stamattina m'ha telefonato per dirmi che era buono (mica per dirmi grazie) mezz'ora fa mi ha telefonato Bongo per darmi del testa di cazzo perchè non l'ho riportato anche a lui. Ecco, due dei peperini sono questi, gli altri si somigliano tutti.
    LUIGINA, grazie, ma se non fosse per te che correggi la punteggiatura sarebbe tutto meno comprensibile, ciao.
    CRISTIANA, si, le cerbottane erano dei tubi di plastica per la condotta dei fili della luce dentro cui si metevano quei cappucci di carta che dici te, a volte se ne facevano tanti e si infilavano tra i capelli per prenderli alla svelta quando occorreva.
    BEYCK HAPPEL, qui lo posso dire che siamo soli Blick long vuol dire pisello lungo, poteva esserci anche blickett o blicon secondo le misure.
    CIAOLILI, grazie, con me sei sempre prodiga di complimenti. Ciao.
    RIRI, Numa, mi chiamavano Numa, da sempore, Ciao
    JANAS, Diobono, scomodare addirittura Màrquz, grazie cara, in effetti sono i ricordi che danno qualità alla vita. Grazie e ciao.


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    1. Tira poco in giro Numa, altrimenti te la spargo a casaccio la prossima volta, tanto quello che scrivi si capisce ugualmente :(

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  10. Fare correzioni su testi come quelli di Paolo non dev'essere facile, Luigina. Io non ne sarei capace perchè, tentata di far filare soggetti e predicati, toglierei carattere al modo personale e fresco dei suoi racconti che sono ritratto e testimonianza allo stesso tempo.
    I ragazzini di oggi hanno consolle e iPod fra le mani e perdono sia la capacità di inventare che di relazione. E se facessimo legger loro questo racconto? Beh, non tutto.. in questo caso le tue "correzioni" sarebbero opportune. :)))
    E' bello anche questo, Paolo, come tutti gli altri.

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  11. E' una ballata, country. Una chitarra che accompagna lo sfilare di paesaggi gialli e azzurri. Quello ho visto.
    P.s. Le palline le farò usare ai miei piccoli pestiferi alunni :)

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  12. Mi piace molto il tuo stile di raccontare i ricordi della tua gioventù che potrebbero davvero diventare stori quantomeno della tua zona di nascita e di residenza.

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  13. Ciao Numa, che cavalcata a briglia sciolta che sono i tuoi racconti!
    E' un piacere tuffarsi con te nel mondo magico dell'infanzia e dell'adolescenza: tanti giochi, tanti tipi, tanti avvenimenti lontani resi speciali dalla tua penna (o tastiera che sia) scanzonata.

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  14. le biglie me le ricordo solo di vetro e non ci ho mai potuto giocare perchè ero femmina e per mio fratello sono sempre stata troppo piccola...acc. ai maschi

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  15. SARI, la Lù si limita alla punteggiatura traducendo a volte in italiano fobito alcuni svarioni che scrivo, in pratica mi fa star tranquillo.
    GIOIA, un banjo che accompagna i miei racconti? Mi sarebbe piaciuta di più una chitarra blues, magari un po' scordata e suonata su un vagone merci. Ma non si può avere tutto e poi io scrivo, le sensazioni non le detto io se le trovano i lettori da soli, è questo il bello della lettura.
    Ciao ALDO, credo che dopo la guerra, anche dieci anni dopo, la situazione era la stessa dappertutto in Italia, certo escludendole città dove la vita dava opportunità e quindi giochi diversi per i bambini, ma devo dire che è stato bello vivere come ho vissuto, non mi lamento.
    NINA, mentre scrivo rivivo le cose che abbiamo fatto, a volte invento cose che avremmo potuto fare e le scrivo come vere, altre volte mischio le mie esperienze con quelle di altri che conosco, ma la sostanza alla fine è quella.
    ADRIANA, l'anno scorso alla riffa del tesseramento del partito ho vinto un pachetto di biglie di vetro che adesso sono in bella mostra sul banco da lavoro del garage,
    mi son venute in mente le nostre palline e ho scritto il racconto. E' nato così.
    Ciao a tutti voi miei cari terapeuti, alla prossima volta.

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  16. Ciao paolo Numa. Che bel racconto e tanto tanto lungo! Mi è piaciuta la frase di Garcia Marquez, che siamo quello che ricordiamo, riportata da JANAS, lo penso anch'io.
    Spesso faccio tesoro del mio passato, per superare i passaggi no della vita. Ciao.

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  17. Ciao, bello, bellissimo e tu lo racconti in un modo superlativo.
    Io credo che noi non siamo altro che la somma dei nostri ricordi, scrive Antonia Spinosa "Se un uomo non ricorda non vive, si vive di ricordi " in più tu riesci a ricreare quell'atmosfera particolare di quegli anni, non racconti solo una storia, fai rivivere uno stile di vita tipico dell'Italia di quegli anni, ricrei atmosfere che mi ricordano certi film di Pupi Avati.
    Ciao Massimo, buon fine settimana.
    Anto

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    1. Dimenticavo, magari Battisti sarebbe ancora di destra, ma è talmente grande che lo colloco al di là del bene e del male. Ho patito anch'io una delusione del genere...ti lascio immaginare per chi.
      Anto

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    2. Scusa ancora ma vedo adesso che ho fatto un errore , ovviamente intendevo Antonio Spinosa. Ri- ciao

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  18. Paolo ho finalmente scritto il finale "siamo tutti soggettisti", col quale avevo vinto
    il primo premio. Se ti va vai a leggerlo. Aspetto il tuo commento. Ciao.

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  19. Ma guarda te!
    Oggi a tavola raccontavo dei cannoncini che facevo da ragazzino coi tubetti di Formitrol. Poi sull'onda del ricordo sono venuto al pc a digitare "tubetto di Formitrol" e mi sono imbattuto in questo "amarcord" e ci ho ritrovato la mia infanzia.

    Anche io, anzi noi, andavamo a giocare fra le macerie della caserma bombardata, adiacente alla ferrovia, che era il nostro campo di giochi e di battaglie.
    Ricordo le palline di terracotta colorate e le palline di acciaio tratte dai cuscinetti in disuso che qualche meccanico di camion gentilmente ci regalava; ricordo i tappi a corona, che spingevamo con un "cricco" e al cui interno si metteva il colore della maglia dei ciclisti con il nome di ciascun partecipante al giro d'Italia e poi la loro sostituzione con le sferette di plastica con la figurina all'interno.
    Ricordo le battaglie con le cerbottane che di solito erano fatte da quei tubi di alluminio che una volta sostenevano i lampadari.
    E ovviamente ricordo le guerre con relativi atti di eroismo.
    L'Ugo il nostro "paracadutista", perché abilissimo a saltare dai muretti più alti, una volta finì col ginocchio in uno spuntone di ferro che sporgeva da un muro diroccato. Ovviamente il sangue sgorgava copiosamente e qualcuno, ispirato da quei film di avventure che andavamo a vedere ai "terzi posti" per 60 lire - praticamente davanti al telone dello schermo - suggerì di cauterizzare la ferita.
    Detto fatto si sguainarono i coltellini di ordinanza perché era quasi un obbligo e motivo di vanto averlo sempre con sè; si accese un fuocherello con gli zolfanelli che stavano sempre nelle tasche di qualcuno e dopo aver scaldato per benino la lama la si posò sulla ferita sanguinante.
    Non ricordo come andò a finire ma l'Ugo è sopravvissuto e da militare è diventato paracadutista per davvero.

    Non sto a tediare di più. Saluto con un "grazie" per sorrisi che mi hai fatto nascere.

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    1. Ciao Anonimo,
      son contento che hai trovato e letto,
      adesso vai a vedere gli altri raccontini
      e chissà che non si scopra che te sei me e io son te.
      Ciao.

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