lunedì 10 dicembre 2012

Fanculo anche al ballottaggio

Sono le sei e mezza, ma è da un pezzo che mi rigiro nel letto e allora mi alzo,
tutto quel che mi serve è messo in fila sulla scrivania da iersera, cibalgina compresa, non si sa mai.
Alle sette e un quarto sono nel seggio a firmare le schede.
Le firme vengono un po’ sghembe: il freddo non aiuta a far firme belle
Arriva Frank, si ferma un po’ e poi se ne va,
Quando torna ha in mano una stufetta che ha preso dal cesso di casa.
Anche oggi quella poveretta della moglie avrà un motivo per incazzarsi.
Il freddo pela lo stesso, ma quella, che butta aria calda nei piedi è già qualcosa,
almeno ci togliamo i cappucci dalla testa e cominciamo a sembrare cristiani.
Sono le otto, ci siamo tutti e si comincia.

“Scusate  ehi voi, scusate ma ho messo nell’urna la tessera elettorale invece della scheda”
Guardo l’Agostina e mi passo le mani tra i capelli.
Lei si avvicina  e mi dice all’orecchio:“La meni domani, adesso fai il bravo”
“Signora non posso aprire l’urna, quando faremo lo spoglio potrà riprendere la sua scheda”
“Quando?”
“Stasera alle otto”
“Ma io non posso aspettare”
“Perché? Non ci sono mica altre elezioni in giro oggi. Stia tranquilla, gliela porto io a casa”
Come inizio non c’è male.
L’Ago ha portato le crostate che ha fatto l’Alberta, sua mamma, così le offriamo ai votanti
e diciamo che le abbiamo fatte coi due euri che hanno versato la settimana scorsa.
Ridono felici e mangiano una fettina tanto per gradire.
Le operazioni si svolgono alla svelta, ogni tanto qualche piccolo incidente
come quello che porta una bottiglia di vino dentro e si mette a distribuirlo
e mi tocca fermarlo perché non voglio alcolici nel seggio.
Qualcuno vuol votare senza avere il consenso del coordinamento provinciale e
l’Antonietta si incazza come una bestia quando le dico che non può votare
“Allora cosa son venuta a fare?”
“Antonia, abbi pazienza, non ti son venuto mica a chiamare io, non t’incazzare con me.
Se ti sei iscritta venerdì e non hai il permesso a votare non puoi farlo
perchè non  è stato avvertito il tuo seggio di origine che tu voti qui e quindi potresti votare due volte”
“E’ una regola del cazzo!” gira i tacchi e se ne va
Arriva uno che ha fatto richiesta via mail e dice che per la legge del silenzio assenso può votare e  vuole farlo subito 
“Guardi che qui è il contrario, se non ha avuto l’autorizzazione non può votare”
“Ma io pago i due euro”
“Non è una questione di soldi, il regolamento prevede…”
“Andate a fanculo voi e il regolamento”
Fortuna che tipi così ce ne sono solo due:
gli altri che si sono presentati si son fatti bastare un “no”
e sono andati via senza commentare o almeno non li abbiamo sentiti.

L’unico che ha avuto il permesso è Alfio, 88 anni, abita sopra casa mia.
Tutti i pomeriggi si chiude nel garage, si mette le cuffie e mentre ascolta la musica
suona un tamburo menando come un forsennato.
Un giorno che menava più del solito ho bussato nella serranda e gli ho chiesto
“Ma che cazzo suoni?”
mi fa vedere un cd  “Led Zeppelin  - Led Zeppelin IV”
pensai “E’ pazzo! Rock a 88 anni, sognerà di essere John Bonham”
“L’ho trovato qui davanti, è tuo?”
“No, non è mio, io i Led li tengo in cassaforte”
Ma per precauzione sono andato a vedere, hai visto mai…
Indossa sempre un camicione felpato a quadri grandi fatti da righe rosse e blu, sempre quello,
gli arriva ai ginocchi perché lui è corto e la camicia è lunga;
era meglio il contrario, ma ormai è andata così,
o ne ha una decina o quel camicione è diventato una cotica;
sulla testa tiene un cappello con la visiera con sopra la papalina.
Lavorava per il comune e faceva il chiappacani poi ha fatto il fontanaro
e poi aggiustava le caldaie. Quando è andato in pensione gli hanno fatto una gran festa
su al comune, poi hanno chiuso il portone per paura che tornasse.
C’ha un ape furgonato, ci carica la moglie e la scarrozza dappertutto anche sulle scalinate
che qui da noi, visto che la città è fatta su una ripa, ce ne sono più che di strade.
Quando arriva dice che è stato male per tutta la settimana come se dovesse giustificarsi con noi.
“Ma se t’ho visto tutti i giorni a scorazzare con l’ape”
“Andavo a far la spesa con la febbre che sta male anche la Rosa” Che bugiardo!
Gli chiedo i due euri che fa finta di cercare e ovviamente non li trova, c’avrei giurato!
“Non ti preoccupare, li metto io poi a casa però me li ridai”
Son sicuro che non lo vedo più fino a Natale.

I votanti al primo turno erano 422, quelli al secondo 382: un successo incredibile.
Tutti felici di poter scegliere quello che correrà per la Presidenza del Consiglio.
E’ uno spettacolo: li saluto tutti con un grazie perché mi stanno riempiendo il cuore di gioia.
E’ vero, i giorni scorsi c’è stata tensione, sono volate parole pesanti,
dubbi e sospetti, oggi no, ho accanto a me Renzo che sta da una parte che non è la mia,
ma andiamo d’accordo e ci intendiamo bene, mi fido di lui, è un compagno.

“Possiamo votare anche per nostro figlio?”
Sono una coppia circa della mia età
“Signora, il voto è individuale”
“Ma noi siamo una famiglia, lo sappiamo per chi voterebbe lui,
adesso studia a Bologna e non possiamo mica farlo venir giù tutte le settimane,
ci costerebbe troppo, io non ho più il lavoro…
I suoi documenti li abbiamo tutti, anche il foglietto da staccare per il secondo turno”
Io e Renzo ci guardiamo e non ci diciamo niente
“Firmi qui” dice lui
“Grazie, quando glielo diremo sarà contento”
Soprattutto avrà capito che non ce ne frega niente per chi vota,
ci importa di lui, di quello che pensa, e c’importa che ce lo faccia sapere,
lo so che secondo regolamento ho sbagliato ma son contento di averlo fatto,
ho riconosciuto queste tre persone come fossero una cosa sola, una famiglia unita.

E’ tornato l’uomo sandwich, stavolta senza cartello, sta sempre attaccato al telefono
e ogni tanto mi chiede in quanti hanno votato.
Faccio finta di pensarci e poi sparo una cifra, la volta dopo la diminuisco
e lui scrive e manco si accorge: basta scrivere e sentirsi compresi nell’ingranaggio,
non importa cosa scrivi, l’importante è che si sappia che lui manda i numeri,
del resto passare da uomo sandwich a comunicatore con cellulare
è stata una carriera fulminante.
Alle prossime elezioni sarà nominato urna e gli infileremo le schede arrotolate...

Sono le otto
 “Ago, vai te a chiudere la porta?”
L’Agostina si avvia e mentre gira la chiave due persone bussano al vetro
“E’ chiuso” loro bussano ancora, l’Agostina mi guarda
 “Ago, fa finta che mancano due secondi e falli entrare, anche loro hanno diritto al voto”
Lei apre e so che lo fa volentieri, è brava l’Agostina, è nella Segreteria del partito.
I due votano e quando vanno via ringraziano fino alla porta,
non ci giurerei, ma mi sa che hanno ringraziato anche da fuori.
Facciamo lo spoglio velocissimi, nessuna nulla, nessuna bianca, nessuna contestata
una tessera elettorale recuperata.
Le elezioni si devono sentire dentro, se sei convinto che sono importanti le fai bene
E la gente ha capito che stavolta erano importanti,
hanno capito tutti che c’era bisogno del loro consenso
per designare chi ci avrebbe governato per i prossimi cinque anni.
Ci salutiamo, abbraccio Renzo, lo ringrazio e porto tutto in sezione (pardon, circolo)
La Tamara è attaccata al telefono che manda i risultati al coordinamento provinciale,
sento che per non sbagliare li ripete due volte,
ogni tanto alza la testa e dice :“Per favore andate a parlare di là che non mi fate capire niente!”
Si capisce bene che quel “per favore” è un ordine e tutti vanno via,
ma tempo tre minuti si ritrova con un altro gruppetto davanti pronto per essere cacciato.
Anch’io mando i risultati al coordinamento nazionale che mi ha chiamato
per la terza o quarta volta, ma non gli avevo mai risposto perché ero sempre indaffarato.
Fotocopio tutto, impacchetto e… finito, sono soddisfatto, si chiacchiera coi compagni
e si decide per una pizza al Giardino della Galla;
qualcuno avvisa la Tamara che siamo là e andiamo.
Dopo un po’ ci raggiunge il Segretario con la fidanzata nuova di zecca:
è una del nord che potrebbe essere mia figlia (manca poco che non possa essere anche la sua)
Ci raggiunge la Tamara che mi porta i fogli che ho fotocopiato:
li avevo lasciati al partito (ho la testa per aria, vuol dire che sono emozionato).
Lei ha un orecchio rosso che non vi dico,
“Ma non potevi cambiare orecchio ogni tanto?”
“Ci sento solo da quello”
Suona il mio cellulare: “Pronto”
“E’ il coordinamento nazionale, abbiamo bisogno che ci ripeta i risultati del suo seggio”
“Ma ve li ho detti mezz’ora fa!”
“Bisogna che ce li ripeta”
Questi hanno voglia di mandarmi di traverso la pizza.
“Si, aspetti un attimo…”
Torniamo tutti a casa, vien giù qualche goccia e forse stanotte nevicherà
è l’una e qui fuori si sta bene, è un freddo che pela ma aspetto un po’ prima di entrare,
penso a D’Alema che adesso dovrà lasciare e passerà le giornate tra la vigna e l’erba spagna
non ce lo vedo proprio, vedo meglio Veltroni a far la maestra d’asilo in Africa.
Suona il telefono “E’ il coordin…” spengo senza rispondere, sarò maleducato?
Fanculo anche al ballottaggio!!

lunedì 3 dicembre 2012

Fanculo alle primarie

Stasera abbiamo avuto un’altra riunione,
ormai sto più in sezione (pardon circolo) che a casa,
ci son state le primarie e si fa un bilancio, domenica faremo il ballottaggio
e ci sono cose da organizzare per questa settimana.
Ieri mattina alle sei e mezza ero al seggio,
una stanza di metratura infinita che prima ospitava un negozio,
c’è un’eco balorda e a parlarsi tocca guardare il labiale sennò non si capisce niente
ce l’ha prestato un iscritto al partito e non ha voluto niente per l’affitto.
Veramente abbiamo cominciato sabato sera alle sei
con l’apertura del kit elettorale e il controllo,
c’era tutto, “cazzo se siamo organizzati!”
Il Frank era già andato a prendere i tavoli e le sedie, anche quelli prestati,
aveva fatto due viaggi con la macchina, grande il nostro segretario di sezione,
(pardon, responsabile di circolo)
firmiamo le schede elettorali, mettiamo a posto i tavoli e l’urna,
tutto pronto per domani.
Allora come ho detto alle sei e mezza ero già lì,
chiuso dentro perché nessuno venisse a rompere le scatole,
alle sette arrivano l’Agostina e il Frank “ mi rigiravo nel letto e allora son venuto qui”
alle otto si apre e c’è già gente fuori ad aspettare, si incomincia:
La gente arriva a frotte, ogni tanto un gruppetto
non ci sono code, ma un po’ di gente che sta lì e intanto che aspetta fa due chiacchiere,
non siamo in una metropoli e ci si conosce quasi tutti,
ad un certo punto arriva uno che passa avanti a tutti sventolando un foglio
e dice di essersi registrato on line, gli spiego che ci sono due persone anziane davanti a lui,
sono solo in due a registrare e si tratta di aspettare tre o quattro minuti
lui vuol votare perché s’è registrato on line, io insisto e lui va via dandomi del comunista
gli astanti si complimentano con me non so se per il comunista o per aver rispettato la loro fila
torna dopo mezz’ora con uno che mi mostra un foglio
 in cui c’è scritto che è il rappresentante di lista e il tipo deve votare subito
“certo” dico “c’è solo lui!” infatti non c’era nessuno che doveva votare e vota.
Nel frattempo vado a prendere il regolamento e mi avvicino al rappresentante di lista
glielo mostro al paragrafo che lo riguarda dove c’è scritto che il rappresentante
deve essere riconoscibile con una fascia al braccio con il simbolo della scheda,
lui ha una striscia al collo alla quale è attaccato un foglio con la pubblicità del candidato
lui insiste che è la stessa cosa e io mi sforzo di fargli capire che così è un uomo sandwich
alla fine capisce e se lo toglie.
“ Ho sbagliato la scheda, me ne date un’altra?”
Queste cose mi mandano in bestia, ci sono 5 nomi e devi fare la croce su uno
come cazzo fai a sbagliare! “Certo signora, ecco la sua scheda nuova di zecca”
“Scusi, guardi che non ha preso la matita”
“Non importa, faccio con la mia penna”
“No, aspetti, deve usare questa matita”
“Ma non è lo stesso? Che differenza fa?”
“Con la sua penna sarebbe riconoscibile, con la matita che usano tutti no”
“Tanto non son mica elezioni normali, non valgono mica niente queste elezioni qui”
Allora che cavolo è venuta a fare
 “Abbia pazienza, usi sta matita sennò mi tocca annullare la scheda”
Ecco, la giornata trascorre così, arriva un sacco di gente,
alcuni lo sappiamo che non sono del partito, ma votano,
dovremmo farlo più spesso, bisognerebbe stimolare la partecipazione
la gente è contenta di votare, di dire la sua, consegna i due euri e vota,
qualcuno fa finta di non averli, solo un paio di persone, “Dopo li porto”
si capisce bene che lo fanno apposta, non vogliono dare soldi al partito,
i ragazzi che registrano tirano fuori le monete di tasca e pagano loro.
Gente che sbaglia seggio, studenti fuori sede non registrati che voglion votare,
qualche bega c’è ma in fondo va tutto bene.
Ogni tanto il coordinamento mi chiede l’affluenza,
“?Pressappoco duecento” “ non vogliamo sapere pressappoco, vogliamo il numero giusto
“Prendi per buono il pressappoco e fattelo bastare”
Che accidenti se ne faranno dell’affluenza ogni ora!
Alle otto si chiude, come per miracolo arriva puntuale l’uomo sandwich
Col suo manifesto esposto, non gli dico niente tanto ormai è finita.
Facciamo lo scrutinio: Nessuna contestazione, meno male!
Tutte le schede sono valide meno una che c’è scritto una cosina irripetibile,
questo tale ha pagato per scriverla, deve essere incazzato nero
ma va rispettato e si scrive sul verbale.
Scrutinio finito, tutto regolare e tre quarti d’ora per i verbali,
Adesso è tutto impacchettato e firmato, sono solo e sto per chiudere,
in una scatola c’è un po’ di roba e vado a vedere,
due tessere elettorali, una carta di identità, una chiave di casa con ciondolo,
un paio di occhiali da sole da donna, appoggiato al tavolo un ombrello
e un calzino da neonato.
Saremo anche diventati più poveri ma perdiamo di tutto come fossimo nababbi.
Prima di uscire vedo vicino alla porta una monetina da 2 centesimi,
la raccolgo e fò per metterla nella scatola dei soldi da consegnare
esito un po’ “E se poi fanno i conti e non gli tornano?” la butto sul marciapiede che è meglio.
Vado in sezione (pardon, circolo) a consegnare la roba,
c’è un sacco di gente che commenta, consegno saluto un paio di compagni e vado via,
sono stanco, la giornata è stata lunga ma è bello aver fatto sta cosa
e aver visto tanta gente che ha voglia di dire la sua.
A casa, non ho voglia di mangiare, predo un po’ di biscotti e un bicchiere d’acqua
la tivù è accesa e dice le percentuali bagno un biscotto nell’acqua…
Cazzo, domenica si replica, e io che dovevo andare a La Spezia!
Finalmente si sarebbe stati insieme che è da troppo tempo che non ci si vede
con Luca, Marina ZK, Paolo Spray tutti amici della vela e chissà chi altro sarebbe venuto
poi saremmo andati tutti da Paolo a Montemagno a raccogliere le olive
Bisogna che lo chiamo e glielo dico, è tardi ma lo chiamo lo stesso,
risponde che se l’era immaginato appena ha visto i risultati, tutto rinviato a chissà quando.
Fanculo alle primarie.

lunedì 26 novembre 2012

Fanculo la gelosia

La Giuseppina baciava, baciava anche bene e dava gusto,
sarebbe stata lì le ore se non ci si inventava una scusa per smettere
ma più in là non si riusciva ad andarci,
avrebbe tenuto a bada anche una piovra,
ormai c’aveva baciato tutti, ma nessuno che potesse dire come era fatta sotto,
finché un giorno, tornando al paese mi dicono che s’è sposata con Aldino
“Ma se non l’aveva manco mai baciato!”

E’ domenica e sono al paese, sto salendo verso la piazza mentre esce la messa
e  incontro la Giuseppina e Aldino: grandi saluti e abbracci,
si passeggia un po’ per la piazza e mi invitano a pranzo.
Per la verità m’invita la Giuseppina, io rifiuto un po’ e poi cedo alle insistenze.
Si va verso casa e si entra dalla porticina ritagliata nel portone
Dritto davanti a noi, dopo il cortiletto, c’è il portico con la vetrata
di ferro e i vetri fissati con lo stucco rosso.
Non è cambiato niente, nemmeno lo stucco che adesso è indurito,
ma una volta andava bene per fare le palline da tirare col cannello della bic
Il portico è formato da cinque archi: in quello di mezzo si entra
e nei due laterali sono ricavati due salottini con poltroncine e divani di vimini
“Che bello, è come una volta!”
“No, le poltroncine le ho cambiate una decina di anni fa
perché le avevate ridotte un cencio” dice la Giuseppina
“Aldino, mangiamo qui!?”
E’ più un ordine che una domanda.
“Va   bene Giuseppina” risponde lento lento.
Mentre lui prepara il tavolo io e lei andiamo in giro per la casa
e mi mostra lo studio, le tre camere di sopra con un bagno ognuna
e alla fine il giardino e l’orto di Aldino,
con le stie dei piccioni che non si ammazzano mai perché servono per la cacca
e intanto parliamo di loro, lei che insegna lettere,
Aldino che bada agli affitti al podere e all’orto e governa la casa, pasti compresi.
I figli fuori a studiare, uno fa filosofia alla Sorbona
e l’altra studia a Milano, non ricordo ne’ cosa ne’dove,
“C’è toccato comprare un buco a Parigi
altrimenti spendevamo una fortuna a farlo studiare
quando avrà finito lo rivendiamo…”
“Aldino è gelosissimo e starà già scalpitando che da un pezzo non ci vede”
“Ma davvero?”
“Si, non abbiamo mai invitato nessuno della vecchia compagnia perché è geloso”
Mentre torniamo in cucina mi racconta che Aldino
non è poi quel misantropo che conoscevamo da ragazzi
pare che faccia tutto con lentezza, ma gli riesce di fare tutto,
è socievole, ma sta bene anche da solo,  anzi, forse sta meglio,
tutte le sere alle sei e mezza va al bar, prende l’aperitivo seduto fuori
e alle otto torna a casa e racconta quel che ha visto,
soprattutto quello che ha intuito guardando la gente
“E puoi star tranquillo che c’indovina,
lui li guarda ben bene, valuta tutto, vestiti scarpe compagnia…
poi viene a casa e sentenzia”
“Non fa vita sociale perché ha paura di essere messo in disparte
e anche per gelosia ma io gli voglio bene così com’è”
Mentre si mangia parliamo di noi poi anche della salute
e ad un certo punto mi viene un lampo e dico
“Ve l’hanno detto che sono diventato impotente?”
“Ma dai... ma come è successo?”
“Quando feci un viaggio in India presi appuntamento da un guru e mancai all’incontro,
quando arrivai un paio di giorni dopo non mi ricevette
e io lo mandai a quel paese con un bel gesto del braccio,
lui capì e si mise a gesticolare con un cero in mano;
io chiesi alla guida cosa facesse e lui mi disse che mi stava rendendo impotente
da quella volta, un paio di anni fa …”
“ Ma i dottori che dicono?”
“Niente, è una questione psicologica,
la guida ha detto che mi passa quando il guru muore
e io ogni mese telefono alla guida, ma sai com’è,
sti cazzo di guru campano come elefanti!”
“Mannaggia, andresti bene per me, lo sai che lui tutti i giovedì e le domeniche
va a letto alle nove e aspetta che salgo, uno stress che non ti dico,
se poi tardo si incazza pure”
Finito il pranzo Aldino ci porta il caffè, sparecchia e poi mi prende sottobraccio
e mi porta a vedere l’orto facendomi un sacco di domande
io un po’ imbarazzato rispondo e lui incalza,
poi mi mostra l’orto con l’insalata, tutta su tre file bella
precisa che pare un plotone dei suoi soldatini,
i finocchi, le carote, le pergole d’uva che d’estate fanno ombra,
ma che in autunno fanno un sacco di foglie secche…
e insomma dice che deve pensare lui a tutto
e anche alla casa pensa lui, non ci sono donne a far pulizie
“Viene una a stirare una volta la settimana”
dopo la morte dei genitori è tutto sulle sue spalle,
gli affitti da riscuotere e le faccende da sistemare.
Parla lentamente, una flemma da far venire il nervoso,
ma arriva dappertutto, sempre attento e guardingo
alto e secco da far invidia, lui fa un passo e io tre.
Adesso vado, ringrazio e Aldino dice
“Giuseppina lo accompagni tu che io lavo i piatti?”
Lei mi guarda, sorride incredula e ci avviamo al portone
“ Ma perché gli hai fatto credere quella stronzata”
“Adesso è tranquillo, non voglio mica niente,
volevo solo che lui fosse a suo agio senza essere geloso
e mi pare di esserci riuscito”
“Tu non cambi mai: sei la più grande testa di cazzo che conosca,
come avrò fatto a baciarti?”
“Avevi baciato tutti e mancavo solo io
dovevi pur finire la pagina delle figurine!
Aldino invece lo hai sposato per metterlo in copertina”

Mentre sono a cavallo della porticina sento la voce di Aldino
“Paolo torna mi raccomando torna ancora a trovarci”
“ Lo vedi che non è più geloso?”
“Fanculo tu e la sua gelosia!”.

lunedì 19 novembre 2012

Aldino

A casa mia non c’erano tanti soldi, anzi diciamo pure che ce la passavamo maluccio.
Nonna Gemma faceva la sarta e mamma la maestra d’asilo dai preti
per un piatto di minestra e niente marchette.
Nonno, l’ufficiale d’anagrafe, ci aveva già lasciati
e lo rimpiangevano più gli amici che i parenti.

Tra le clienti di nonna c’era una signora che a volte veniva a casa nostra
e si metteva sul divano dove sopra c’era lo specchio inclinato verso il basso,
io cercavo sempre la posizione migliore per guardarle la scollatura riflessa
praticamente andavo sotto il tavolo a far finta di giocare con qualcosa.
Mi era simpatica la signora, parlava sempre del suo Aldino che era bravo a scuola,
che sapeva fare questo e quello, che era intelligente, ma era sempre solo
e non giocava mai con gli altri bambini e mi invitava a casa sua a fargli compagnia.
Un giorno nonna decise che le insistenze della signora potevano essere soddisfatte
e, con le scarpe buone e i pantaloni corti appena stirati, mi accompagnò di là dalla Flaminia
per mandarmi su per il vicolo fino all’immenso portone del palazzo degli Angeloni.
La prima volta che mi presentai a casa loro mi fecero fare merenda col pane spalmato di cioccolata.
Per me, che quando andava bene, sopra il pane ci mettevo acqua e zucchero
(quando c’era nonno anche qualche goccia di vino), era una vera goduria,
una cosa da raccontare a Bongo e al Bociolo che col pane ci mangiava le mele.
Nella stanza di Aldino, (solo sua!) c’era un baule di giochi
che, per me che avevo un solo giocattolo all’anno, era una roba dell’altro mondo.
Ricordo ancora le automobili di latta, non quelle piccole che regalavano a me,
quelle grandi coi poliziotti americani col cappello, disegnati di fronte e di profilo,
un elicottero con le scritte in americano, una barca con la carica
che se la mettevi nell’acqua andava davvero,
i soldatini, tanti, ma talmente tanti che ci si stancava a metterli in fila.
Io cercavo di giocarci, ma ogni gioco che prendevo mi veniva tolto di mano
e Aldino mi spiegava come si usava e diceva che era prezioso e non si poteva rompere
e subito lo rimetteva a posto nel baule.
Se prendevo gli sciangai, appena cominciavo a giocarci, arrivava lui
e, anche se sbaraccava tutto, diceva di aver vinto,
non parliamo delle spade: io dovevo sempre morire!
Ogni volta che tornavo a casa raccontavo tutto a nonna che diceva
“Basta, è l’ultima volta che ci vai”
 ma, il giorno dopo, mamma voleva che tornassi dalla signora,
perché quelle merende così a casa non me le sognavo nemmeno
e alla mia età ci volevano proprio.
La cosa andò avanti per qualche settimana.
Io ormai non toccavo più neanche un giocattolo,
appena arrivavo mi mettevo al tavolo e, dopo la merenda,
mi sedevo per terra a guardare Aldino che mi faceva vedere come si fa questo e quel gioco
e anche a pallone, in giardino, mi toccava tirarglielo in modo che lui gli desse di testa
e, siccome non ci prendeva mai, diceva che glielo tiravo male.
Se si palleggiava contro il muro, lui non ci riusciva
e diceva che io avevo il posto migliore o che il suo pezzo di muro era storto.
Era un po’ grosso e quindi si muoveva malamente.
Una volta saltò due scalini e chiamò la madre per farle vedere,
ma, al momento della ripetizione del gesto atletico, cadde
e per poco non si ammazza contro la consolle del pianerottolo.
A me venne da ridere e la madre mi disse che non dovevo insegnargli quei giochi triviali:
“La gente perbene per giocare usa i giocattoli!”.
Tornato a casa feci il solito resoconto a nonna,
per ridere ancora delle fenomenali prodezze di Aldino,
ma, quando riferii che avevo mangiato la crescia (pizza bianca salata col rosmarino)
con la mortadella in mezzo, lei si alzò da davanti alla macchina da cucire e disse:
“ Non è possibile, la crescia fa companatico da sè!”
(questa frase diventò famosa in casa nostra tanto che ancora la usiamo:
voleva dire che la crescia si mangia da sola senza aggiungere altro)
e, rivolta a mia madre: “Questa è l’ultima volta che va da quegli spreconi,
non è così che si tirano su i figli”.
Il lato socialista di nonna era prepotentemente emerso:
io non andai più a trovare Aldino, tornai a far merenda con pane e zucchero,
ma almeno andavo in fondo al campo del nonno del Bociolo
a fare le capanne con le frasche in riva al fiume
e , quando arrivava Bongo, si mettevano le “paine” col vischio
per prendere i passeri e i lacci per le lucertole.
Vennero i sedici anni e tutti i miei compagni avevano il motorino,
ma io, Bongo e il Bociolo naturalmente no,
però  lavoravamo alacremente intorno alla vecchia lambretta di Pino, il padre del Bociolo,
per trasformarla in un go kart, che ovviamente non venne mai alla luce
e ancora la settimana scorsa ho trovato il manubrio nel fondo di mamma.
Aldino però s’era fatto comprare una Aermacchi 125
e con quella correva come un pazzo per le campagne
tanto che le donne quando sentivano il rumore correvano a togliere i figli dalla strada.

Era il periodo in cui cominciavamo a perdere le giornate intorno al biliardo del bar
e alla sera verso le sette si faceva vivo Aldino che con la moto faceva il giro di piazza,
Ondo si metteva sulla porta e quando lo vedeva urlava verso l’interno del bar:
“Arriva Profirio Pipirosa su Aermacchi!!”
Allora noi uscivamo e gli facevamo un applauso.
Una sera che era troppo freddo lo abbiamo guardato da dietro i vetri della porta,
lui ha fatto due giri di piazza, ma noi non siamo usciti
e da quella sera non ne abbiamo saputo più niente per un bel po’ di tempo.
C’è stato un periodo (un anno o due) che Aldino frequentava il bar e pagava da bere a tutti,
purché gli stessero intorno,
ma un giorno che si permise di passare avanti
a uno che era arrivato prima di lui,
Silvano gli  disse che, se voleva il caffè doveva andare al bar di Berdoli,
che quelli come lui stanno bene lì, perché “In questo bar gli amici non si comprano!”
(altra frase ormai famosa e inserita nel lessico cittadino),
Non gli era stato mai simpatico e aveva trovato una scusa per toglierselo di torno.
E Aldino non si vide più per un altro po’.
Di lui ho saputo che ha fatto l’università in una città grande, credo Milano,
ma non so che cosa abbia studiato,
che si è sposato con la Giuseppina, una nostra compagna che si sbatte da tutte le parti
e ha pure avuto un figlio o due.
Dicono che scrive libri o giornali, pare non esca mai di casa e non abbia amici,
 ma con i mezzi che ci sono ora, forse se n’è fatto qualcuno telematico.
Chissà che cavolo gli farà credere e che spiegazioni forbite darà su tutto,
perché lui sapeva tutto e quello che non sapeva se lo inventava
e poi chiedeva conferma alla madre che, ovviamente, confermava.
Mi accorgo ora  che non ho detto del padre.
Il sor Angeloni veniva al bar e stava spesso con noi fino a tardi anche se eravamo ragazzi,
perché lui, prima delle due di notte non andava mai a casa,
tanto, diceva, che là a casa sua, c’era quella lì col suo bamboccio…

Recentemente però ci siamo ritrovati con Aldino: era entrato in compagnia con noi
e aveva fatto anche una cura dimagrante, che per poco ci lascia le penne,
stava parecchio in disparte ed era un po’ chiuso,
sorrideva delle cazzate che facevamo a cui lui partecipava raramente,
ma questo è un’altra storia che vi racconterò in seguito
Nel frattempo ho rivisto il giudizio su Aldino, cresciuto sotto le sottane della madre
e, per questo, schivato dal padre e sono arrivato alla conclusione che
non dev’essere certo stato un bel crescere per lui!


domenica 11 novembre 2012

Titi e la Boba


 
Nel mentre che vedo la bottiglia nel baule del bisnonno Enrico,
mi casca l’occhio su un mazzetto di lettere mai viste,
erano una decina e tenute insieme da un nastrino di grogrè.
Apro e… erano indirizzate a nonna e nonno,
ma una in particolare mi incuriosisce perché era di Gabriele Fibrina
alias Titi.
Titi e la Boba erano una coppia senza figli
che abitavano nell’appartamento sopra il nostro prima che arrivassero la Marietta e Pierino
Titi faceva la guardia forestale e la Boba la ciarlatana.
Siccome erano senza figli mi avevano adottato e  mi stavano sempre appresso
o volevano che io stessi sempre appresso a loro;
i ricordi sono vaghi ma quel che ricordo bene erano i servizietti che mi facevan fare:
andare a prendere il prezzemolo nell’orto “Ma solo tre o quattro foglioline non di più”
un pomodoro “Ma uno solo!”, le uova dalla gallina
oppure il giornale a pezzi,
“Prendine parecchio così ci basta per un po’”.
Il giornale a pezzi si prendeva quando Titi andava in bagno
e a un certo punto urlava “IL GIORNALE!”
allora la Boba mi chiamava dalle scale e a sua volta urlava
“PAOLO IL GIORNALE A PEZZI” a me mi toccava andare in bagno,
staccare una manciata di foglietti di giornale,
quelli che nonno tagliava col tagliacarte del Montello fuso nel bronzo nemico
e poi infilzava in un chiodo ricurvo e senza testa
che stava sullo stipite della porta del cesso.
Si stava bene con Titi e la Boba perché è vero che erano taccagni
ma a me una caramella me la davano sempre
e con quella facevo invidia a mia sorella che s’incazzava
e, mentre me la stava per prendere, io la mettevo in bocca e la mandavo giù intera
non gustavo il dolce della caramelle ma vuoi mettere la soddisfazione!
Quando Titi andò in pensione cambiarono paese e tornarono a Piobbico
dove avevano una casa con l’orto grande che era la loro
e un’estate mi invitarono a passare un periodo lì.
Nonna mi mandò volentieri, anche per togliermi dalla strada dove giocavo tutto il giorno,
e io andai volentieri perché in fondo volevo bene a quei due vecchi.
Non ricordo quanto tempo stetti con loro ma ricordo bene che mi divertivo un sacco.
Intanto avevo un letto solo per me
e poi andavo nell’orto a rincorrere il coniglio scappato dalla gabbia
e giocavo con tutti gli animali che c’erano lì. C’era perfino un pavone,
le oche che mi rincorrevano starnazzando e poi, alla sera dopo cena,
si andava a spasso per il paese e si mangiava il gelato.
Bei giorni davvero almeno nel ricordo eran belli.
Tornando alla lettera, era in una busta col francobollo staccato da un’altra busta,
si vedeva bene ma evidentemente alla posta non s’erano accorti,
era brevissima, qualche riga con una bella calligrafia svolazzante
e diceva pressappoco così
(dico pressappoco perché non ce l’ho sottomano e vado a memoria):
“Paolo sta bene, si diverte e mangia, è felice di stare con noi ed è bravo.
Quando lo rivolete è a vostra disposizione.
Gabriele Fibrina”.
Quando arrivarono nonno e Gino, il marito della maestra, con la Guzzi Falcone e il sidecar
mi stupii che nessuno mi aveva avvertito che si tornava a casa.
A me mi misero dentro il sidecar con il cartoccio dei vestiti in fondo ai piedi
E, siccome ero piccolo e non vedevo davanti,
ogni tanto mi tiravo su con le mani
e nonno che stava seduto dietro mi urlava “Sta giù!”
Io stavo su lo stesso, ridevo e lui non diceva niente.
Che felicità!
Sto ridendo ancora adesso mentre scrivo.
Ci son voluti cinquant’anni per capire il perché di quella vacanza
finita così all’improvviso che li per lì m’era parsa quasi una fuga.

Tagliacarte fuso nel bronzo nemico

domenica 4 novembre 2012

La bottiglia di nonno

Stamattina sono tornato per prendere un documento in comune,
ho fatto alla svelta e, avendo tempo, sono andato nel fondo di mamma.
La chiave non ce l’abbiamo né io ne gli altri fratelli:
è sotto il vaso di fiori che sta sullo scalino,
tanto varrebbe lasciarla sulla porta che non entrerebbe nessuno lo stesso.
Guardavo in giro per vedere se ricordavo qualcosa di noi da ragazzi
e l’occhio m’è cascato sul bauletto di legno del povero bisnonno Enrico,
quello che davano ai  graduati nella prima guerra mondiale.
Lo sapevo cosa c’era dentro ma c’ho dato un’occhiata lo stesso,
un po’ di carte qualche foto, la baionetta, un tagliacarte
“Fuso dal bronzo nemico” “Ricordo del Montello”
e la bottiglia.
La bottiglia non era la sua, ma di mio nonno Domenico (al popolo Menchino),
La storia andò pressappoco così, dico pressappoco, perché
la raccontava nonna e lui non condivideva mai
finché un giorno mi accennò qualcosa, ma poi cambiò discorso, non lo finì
e non rispose più nemmeno alle mie domande.
Così fu che un giorno una donna andò in comune
a chiedere aiuto perché non ce la faceva più ad andare avanti.
Gli impiegati se la rimpallarono l’un l’altro
finché andò a finire che la ricevette il podestà.
All’uscita la signora incontra nonno che conosceva bene
e gli dice che il podestà le avrebbe dato  una mano,
anzi a dire il vero gliel’aveva già data visto che l’ha palpata per un quarto d’ora.
Occorre dire che tra nonno e il palpatore non correva buon sangue,
anzi i due si curavano di andare a caccia in luoghi molto distanti tra loro
perché un colpo poteva partire accidentalmente  e.. non si sa mai.
Sentita la lamentela, nonno la riporta al bar dove
c’era parecchia gente che a proposito del regime la pensava come lui,
parecchia ma non tutti, e quindi dopo qualche giorno,
una sera, dopo cena, arriva Marchino in casa accompagnato da due venuti da fuori,
Marchino gli presenta la bottiglia e dice a nonno che l’ha da bere.
Nonno beve quasi tutto e i tre se ne vanno, appena usciti nonno porta alla bocca la bottiglia
e scola anche il quasi che era rimasto e quando nonna gli chiede perchè
lui risponde che lo fa per paura di scordarsi.
Finita la guerra nonno è sempre al suo posto, sia al lavoro
all’ufficio anagrafe del Comune, sia al bar
dove ha fissato la sede del suo ufficio.
Lui arriva alle nove, nove e mezza e sta lì tutto il giorno a giocare a biliardo,
esclusa le pause pranzo e cena, la prima lunghina e la seconda fugace
poi fino a notte inoltrata sempre lì
e chiunque può chiedergli tutte le pratiche che gli competono per tutto il giorno e la notte,
rispettando il tempo tra una partita e l’altra.
Anche Marchino è al suo posto al bar
e siccome parla forte e parecchio contro il vecchio regime
un giorno nonno porta al bar la bottiglia e la mette in bella vista su uno scaffale,
di fianco ai faldoni delle pratiche.
Quando Marchino arriva non si accorge della nuova suppellettile
e comincia la solita tiritera.
Nonno, che non gli aveva rivolto più la parola da anni,
gli si avvicina, gli batte due dita sulla spalla e addita la bottiglia vuota
“ Tu m’hai fatto bere il contenuto, io ti faccio bere il risultato”
Ovviamente Marchino cominciò a frequentare un altro bar
e si dice che smise anche di andare caccia.
Qualche anno dopo la fine della guerra
a nonno fu imposto di trasferire l’ufficio dal bar al Municipio,
fu un’insopportabile angheria per la quale
pare che nonno si ammalò e il sindaco fece in modo di fargli avere la pensione.
Questa la storia che nonna ci raccontava e che dovrebbe essere quasi vera
o almeno a grandi linee lo è.
Quando in casa qualcuno faceva dispetti o meritava di essere punito
c’era sempre chi urlava
“La bottiglia! La bottiglia!”
e tutti scoppiavamo a ridere, nonno Domenico compreso,
anche se il suo ridere non era sguaiato come il nostro.

domenica 21 ottobre 2012

Il funerale della Maria

Oggi 19 ottobre c’è stato il funerale della Maria, la mamma del Bociolo,
Maria la mamma, non Maria la moglie
che, siccome è testimone di Geova in chiesa non è venuta e ha aspettato fuori
e c’ha abbracciato tutti quanti all’uscita come fosse festa.
In chiesa ci siam visti e è venuto a trovarmi lui, io non ne avevo il coraggio.
Per me è stata come una seconda madre,
loro avevano la bottega di alimentari e io
e il Bociolo gli fregavamo il parmigiano nel magazzino;
ho sempre pensato che si accorgesse ma non diceva niente.
Quando mi vedeva  in questi ultimi anni mi faceva sempre una gran festa,
mi chiamava Pauline come si usa in Argentina per dire Paolino
perché loro erano stati emigranti a Mar del Plata dove Pino guidava i tram.
Al duomo sono andato in cima nel posto dove andavo da ragazzo,
quando c’avevamo i posti fissi e alla domenica mattina ci si ritrovava lì.
E' da allora che non c’andavo più,
poi è arrivato mio fratello e mi s’è messo accanto,
così ero tra lui e Gabriele, il fratello di Bongo che è prete (Gabriele è prete, non Bongo).
Mio fratello m’ha detto che ha fatto una ricerca sulla longevità dei nostri parenti
e ha stabilito che a me m’è rimasto poco per entrare nella media.
Gli ho fatto notare che nonna Ester è morta a trent’anni di parto
e lui ha detto che fa media anche lei,
"Ma allora tocca prima  alla Mirella che ha due anni più di me".
Ma lui dice che le femmine campano di più.
"Del resto un infarto l'hai già avuto, penso a tutto io, stai tranquillo,
ho già liberato il posto nella tomba di famiglia",
non è una faccenda da ridere, lui ci crede davvero e il posto l’ha fatto sul serio
e me lo aveva detto dicendo che è piena e tocca far posto
“Perché non si sa mai”.
Gabriele ha sentito tutto e s’è proposto di dire la messa solenne
“Valà Gabriè, non ti ci mettere anche tu a rompere i coglioni”
Poi è arrivato Giannicola e Gabriele glielo ha detto e lui si è proposto ad aiutarlo:
va sul pulpito a raccontare tutte le cazzate che abbiamo fatto,
così per tutto il tempo non abbiamo fatto altro che parlare del mio funerale,
c'era anche Bongo, Vincenzo, la Franca, la Vincenzina e l'Ombretta
insomma fra tutti hanno detto che vogliono fare un bel funerale
e poi vanno tutti a mangiare una pizza con le acciughe e i capperi in mio onore
perché a me mi piace quella.
A quel punto è arrivato il Bociolo e ha chiesto cosa avevamo da parlare,
Vincenzo gli ha detto che andavamo a mangiare la pizza in mio onore
“Perché,cosa ha fatto?”
“Ha da morì, gliel’ha detto il fratello”
“Per l’eredità?”
“No, perché è ora”
“Cazzo allora andiamo a cena al ristorante, una ricorrenza come questa
è da coglioni festeggiarla con una pizza!”
“Bociolo, lascia perdere c’è la Maria…”
“Pà, lascia perdere te, mamma è più contenta se rido che se piango,
te bada a crepare tranquillo che al resto pensiamo noi”.
Arrivati al cimitero ho incontrato Oscaretto che m’ha chiesto che vino c’ho
“Valpolicella ripasso”
“Ma è buono?”
“Ho capito, te lo mando da mio fratello così lo senti”
“Dov’è la tomba vostra?”
“Lassù, nell’angolo a destra dell’entrata. Ma a te che ti frega?”
“M’ha detto Piriz ch’hai da morì allora m'informavo…”
“Vaffanculo Oscaretto “
Ecco, questi sono quei figli di puttana…”scusa Maria”
dei miei amici, mi voglion bene e mi faranno un bel funerale.
Sto tranquillo, intanto però ho fatto il viaggio di ritorno
guidando con una mano sola che l'altra era dabbasso.

domenica 14 ottobre 2012

Il petardo


 


A mio cugino quello ricco e inetto,
lo chiamiamo “il raccomandato” perché ogni cosa abbia fatto
hanno dovuto raccomandarlo, anche per fare la prima comunione
si sono raccomandati che fosse in prima fila;
per tutto quello che gli hanno fatto fare
è stata trovata la persona giusta per raccomandarlo.
E sì che non deve essere stato facile raccomandare uno che si sa che non sa far niente:
non di meno sono riusciti a farlo diventare direttore di agenzia.
Ma la storia è un’altra,
la storia è che un giorno mi regalò due petardi.
Avevo sette o otto anni, non di più;
li tenevo custoditi in una scatoletta di latta
insieme ad altre piccole cose care.
Un pomeriggio, in piena estate, decido che era ora di spararli
e nell'androne di casa preparo una rampa di lancio
(che al tempo non sapevo si chiamasse così)
fatta di pezzetti di legno legati col filo da imbastire di nonna.
Ne posiziono uno in modo che vada dritto sul tetto del marmista di fronte a casa,
accendo e... mentre mi allontano sposto con un piede la slitta che crolla.
La miccia brucia e io resisto alla tentazione di prendere il petardo con le mani
finché lui parte con un gran fischio e va a colpire il ritratto del bisnonno Enrico
attaccato al muro nella saletta di casa.
Il boato è terrificante,
i frantumi del vetro sparsi dappertutto
e il bisnonno Enrico tutto nero affumicato,
irriconoscibile, da buttare
(ma l'abbiamo tenuto ed è ancora in cantina).
A quell'ora erano tutti a letto a farsi la pennica,
ma in un attimo me li ritrovo tutti intorno,
anche la maestra del piano di sopra, con la Nice (la figlia zitella ficcanaso)
e la Marietta la moglie di Pierino 
che va a prendere il sole in mutande lunghe sul terrazzo
e madre del capitano di lungo… sorso
(si, sorso, indovina perché).
Mamma è incazzata e vorrebbe darmi una sberla,
ma nonno e nonna mi fanno da scudo e glielo impediscono.
Io la vedo incazzata da dietro le gambe di nonno
che è in mutande e c’ha le gambe bianchissime, secche e pelose.
Giuro che è la prima volta che vedo nonno in mutande
nonna no, non l’ho mai vista,
e a quel punto mamma mi grida: "Ma sei scemo?!"
e nonna, tanto per difendermi fino all'estremo limite,
risponde piano: "E anche fosse?".

lunedì 8 ottobre 2012

Il mulinaccio di Morenicchia



Erano sette fratelli e stavano in una campagna sperduta,
il posto abitato più vicino era a quattro chilometri
e loro andavano e venivano perché lì c’era la bottega
e quando avevano bisogno s’incamminavano
con passo lungo e lento come fanno i contadini,
col bricco per il vino o con l’ampolla per l’olio in mano
e ogni giorno prendevano quello che gli serviva.
Stavano tutti dentro una casa che era un mulino ad acqua
e si sentiva sempre l’odore della farina;
avevano un vallato che portava l’acqua al bottaccio 
e da lì scorreva dentro il mulino e faceva girare le due macine
con delle cinghie di cuoio.
Tutto era a vista, si fa per dire, perché tutto era avvolto dalla farina
e, quando il mulino era in movimento, la polvere riempiva l’aria
e creava una nebbia che non faceva vedere a un passo.
L’acqua che faceva ruotare le pale con un meccanismo da medioevo
e le cinghie a penzoloni davano l’impressione di pericolo costante,
ma loro si muovevano lì dentro come nella cucina di casa.
Io non ho mai conosciuto i loro genitori 
e quindi non so come gli fossero venuti in mente quei nomi,
che parevano usciti da una bibbia o da chissà quali altri libri.
In ordine di età si chiamavano:
Suero, Druso, Eustachia, Metodio, Gelasio, Amalia e Maria.
Solo le ultime due erano sposate e questo mi ha dato modo di pensare
che scapoli lo fossero per via del nome.
Gelasio faceva il sarto in paese e viveva insieme all’Amalia,
Maria era andata a stare a Gubbio col marito,
gli altri vivevano tutti lì, al mulinaccio di Morenicchia.
Io e Luciano, il figlio dell’Amalia, andavamo spesso al mulinaccio
con la sua Benelli 175 sia per prendere i granchi nel fosso
(non divulgate la voce perché è proibito) sia perché ci piaceva.
Io poi stavo sempre con Metodio che era anche il più affabile
e al quale avevo regalato una pipa
che poi seppi fumava soltanto la domenica mattina davanti alla chiesa,
perché Druso e l' Eustachia andavano alla messa
e lui e Suero li accompagnavano
per poi aspettare la fine della funzione seduti su un trave che stava lì fuori.
Allora Metodio tirava fuori la pipa buona e fumava di gusto.
Quando fumava a casa prendeva un tizzone dal camino
che era sempre acceso anche d’estate
e lo appoggiava sul fornello della pipa.
Davanti alla chiesa invece usava lo zippo vecchio di Luciano
e così si pavoneggiava come fosse il più ricco del mondo.
Un giorno arriviamo e troviamo un palo della luce in mezzo all’orto,
non c’erano ancora i fili, ma il palo di legno stava lì
bello e dritto come un fuso. Per la verità si poteva immaginare che fosse dritto 
perché in realtà Suero ci aveva appeso la ronchetta, il corno con le forbici e la cote,
il falcetto, un fascio di venchi (rami sfogliati del salice selvatico) che gli servivano per legare
e poi ci aveva inchiodato un pezzo di legno di traverso;
su ci aveva appoggiato la zappa, il rastrello e la vanga.
Non che fosse il più bel palo del mondo, ma comunque aveva un suo fascino,
insomma pareva un albero della cuccagna a rovescio.
Stava per arrivare la luce!
Subito io e Luciano fummo incaricati di fare l’impianto in casa
e in realtà ci demmo immediatamente da fare per costruirlo,
perciò restammo a casa loro una settimana
e, quando al prosciutto rimase solo l’osso, decretammo la fine dell’impianto.
Mancava solo il contatore, ma quello lo avrebbe messo l’operaio
quando sarebbe venuto ad attaccare la luce.
E il giorno arrivò, io non c’ero, ma il racconto di Metodio non può essere che veritiero.
Dunque, appena arrivati col loro camioncino,
i due operai dissero subito che tutta quella roba non poteva stare sul palo
e quindi andava tolto tutto.
Nessuno si azzardò a toccare niente
perché Suero era andato a comprare qualcosa alla bottega,
quindi si aspettò il suo ritorno in rigoroso silenzio ma così rigoroso
da creare tensione tutt’intorno
tanto che anche le oche e le galline erano sparite ( parola di Metodio).
Suero arrivò e gli operai, con gran baldanza,
gli spiegarono che il palo della luce era della società e non si poteva manomettere
Per cui tutti quegli attrezzi appesi dovevano essere tolti immediatamente
Allora Suero disse: “ Vuoi dire che tu vieni a mettere un palo sulla mia terra
e io non posso toccarlo?”
“Si”
“Allora lo porti via subito”
“Non possiamo, noi siamo addetti all’attacco della corrente,
quel lavoro lo fa un’altra squadra,
e poi ormai il palo è stato messo e non si può più togliere, avete firmato…”
“Aspetta un minuto”
Suero entra in casa e ne esce col cinturone addosso e la sua meravigliosa doppietta imbracciata,
una Bernardelli con la parte metallica incisa con fagiani e lepri,
una vera reliquia che sparò il primo colpo in aria e il secondo
centrò in pieno lo specchietto retrovisore del camioncino.
In un nanosecondo la reliquia fu ricaricata e puntata sugli operai
che in un’ intesa perfetta salirono sul mezzo e sparirono.
Nessuno si fece più vedere.
Al mulinaccio la luce elettrica non arrivò mai e la comunità
visse sempre al lume delle centilene (lampade ad acetilene)
Di tutti i fratelli e sorelle Suero fu l’ultimo a lasciare il mulinaccio
sicuro che ormai il palo non lo avrebbe toccato più nessuno
e difatti è ancora lì.

lunedì 1 ottobre 2012

Il PD visto dalla cucina


 
Io di solito arrivo verso le quattro e mezza, loro sono già lì a preparare,
Remo al macello, prepara conigli, oche, cinghiale,
quello che di solito è il  secondo del giorno,
Dionizio (con la zeta, non la esse) detto Nizio,
prepara la grigliata mista, fettine, salsicce e costarelle e
dice che il suo nome  deriva da un Dio greco del vino e quindi beve di gusto.
Poi ci sono tutte le donne che preparano le verdure e gli odori:
cipolle e carote che servono per la cucina si tritano nella trituratrice,
le verdure per contorno si tagliano a mano,
la Rosi prepara la verdura cotta e la ripassa in padella con l’aglio tritato,
la Giulietta lava le pentole con la Bruna, ma poi va alla cucina
a ripassare i primi in padella col sugo.
E’ brava la Giulietta, lunga e stretta come la madre,
prof di educazione artistica ovviamente precaria.
La Bruna va con la Valeria a servire i contorni  e i piatti vegetariani:
se la intendono bene e ridono per tutto il tempo,
non so cosa si dicono, ma mi sa che prendono per il culo un sacco di gente.
Franco, il marito della Valeria alle piadine,
 io, allo scaldavivande, distribuisco il secondo del giorno e la grigliata mista,
Ci sto bene con Franco e anche con Giorgio suo fratello,
si parla spesso di politica, della nostra, non di quella grossa,
ci diciamo cosa e chi non va e la vediamo quasi uguale.
La Donatella, la moglie del sindaco, (si dice che governi la città più del marito)
ai fagioli con le cotiche e alla trippa, non viene tutte le sere e, quando manca c’è la Piera,
la Linda e Nando alle comande poi c’è Giorgio alle bevande e ai rifornimenti.
Abbiamo anche l’addetto alle bombole
che ogni tanto mi viene intorno con due fette di pane
e mi chiede una fettina, io gliela do e lui sparisce fuori dalla cucina
non mi ricordo il nome perché non ci conosciamo mica tutti!
Infine Mauro il nostro Chef che sovrintende a tutta la cucina
e la Susi,l’organizzatrice, che dopo aver pianificato tutto
e fatto gli ordini per il giorno dopo sta alla raccolta differenziata.
C’è anche Nino, il marito della Susi, aiutato da qualcun altro che sta alla cassa:
sono bergamaschi trapiantati da noi perché ci stanno meglio che da loro.
Quando arrivano i clienti, i cassieri digitano l’ordine
che viene trasmesso in cucina tramite una stampante.
Linda, Nando e anche altri volontari occasionali prendono la comanda
e urlano a noi i piatti da preparare
“Un tortellino all’anatraaa… un coniglio in porchettaaa… una verdura mistaaa”
noi prepariamo il piatto e lo mandiamo nel vassoio
col numero del tavolo che viene passato ai camerieri.
Si va avanti così per tutta la sera,
ma il grosso del lavoro si fa tra le otto e le nove,
poi calma un po’ e riprende alla fine del dibattito
che fanno in città e che di solito finisce alle nove e mezza- dieci.
Si impazzisce per un’altra mezz’ora
e poi ci si può rilassare e mangiare qualcosa
perché è vietato mangiare durante il lavoro:
si può solo bere acqua.
Abbiamo fatto il corso di tre ore
e ci hanno istruito su tutto quello che riguarda l’igiene.
Venerdì è venuto uno della ASL a fare i controlli,
ha trovato un dolce nel frigo vicino ai formaggi,
ha detto che le due cose possono stare vicine solo se chiuse dentro contenitori,
ma siccome di contenitori non se ne trovavano
i ragazzi si sono mangiati il dolce alle sette di sera
erano cinque o sei e l’hanno fatto sparire in un attimo:
pareva una scena del film “La mortadella”.
L’omo dell’ASL ha detto “OK”.
Non ha rilevato nient’altro,
l’anno scorso aveva detto che non si poteva stare in ciabatte
e,siccome la Rosi le aveva, ha dovuto mettere le scarpe buone di Mauro,
il marito, che porta il 44,
lei è secca come uno stecco e porta il 37: sembrava un clown.
La festa dura una decina di giorni
ed è dura tutte le sere star lì fino a mezzanotte a lavorare
e alla fine a pulire tutta la cucina, lavare i tegami e le posate,
quest’anno ci siamo presi un paio di giorni di sosta
così possiamo seguire due comizi che ci interessano.
L’altro giorno è arrivato Martin Schulz con la scorta di guardie e di politici al seguito,
ha voluto assaggiare tutto quel che c’era meno le patate,
ogni roba che mangiava alzava il pollice per approvare,
praticamente ha mangiato come un lupo
c’è costato più a sfamarlo che a farlo venir giù.
Il giorno dopo è venuto Umberto Eco,
la Susi s’era portata una montagna di libri e glieli ha fatti firmare tutti,
c’ha badato mezz’ora e s’era anchilosato la mano,
Roberto c’ha fatto la foto tutti insieme
Ma, siccome gli trema la mano è venuta mossa.
Quando l’ho vista nella macchina fotografica
m’è scappato detto: “Ma è tutta mossa!”
per poco non stendevano Roberto sulla stufa.
Eravamo tutti felici che ci fosse venuto a trovare in cucina:
parevamo tutti intellettuali, anche gli analfabeti.
“Cos’è che ha scritto che non mi ricordo?”
“ Il nome della Luisa”
“Della Rosa, coglione”
“Ah ho capito, ho visto il film, bello”
Ecco, questi siamo noi, …quasi.
Sono venuti Follini e Veltroni.
Veltroni è venuto a trovarci in cucina,
non ho potuto fare la foto perché c’era il fotografo ufficiale del partito
che c’ha messo tutti in gruppo e ha scattato con una mitragliata di flash.
Appena fatto, Veltroni ha dato la mano a tutti dicendo ciao
ed è scappato al ristorante:avevano tutti due la scorta,
quattro sfigati che parevano l’esercito della salvezza
che si sono divorati una montagna di bistecche.
In cucina correva la voce che erano addestrati ad un nuovo tipo di difesa,
se si avvicina un malintenzionato lo finiscono a morsi sul posto.
E’ tornato il controllore della ASL, ha visto la Donatella,  
non la sindachessa, quell’altra, la vicesindaco di Montepeloso,
che metteva la verdura nel frigo sullo stesso piano del formaggio
e le ha detto che non si può perché i batteri dell’uno vanno nell’altro;
Con tutti i parassiti che abbiamo nel partito
a noi quattro batteri nel formaggio ci fanno un baffo!
E’ arrivati Fassino in cucina accolto da un’ovazione,
è arrivato anche Fioroni per il quale non ci si è spellati le mani.
Fassino ha dato la mano a tutti e ha fatto la foto con noi.
Anche Fioroni ha fatto la foto con qualcuno di noi.
Poi sono andati tutti a mangiare.
Finalmente ho capito chi sono quelli della scorta:
sono i poliziotti e i carabinieri locali,
quelli che ci fanno le multe tutti i giorni
non gli basta accanirsi con le multe sulla gente,
si accaniscono anche sulle bistecche mannaggia a loro!
Giuliana, tu non hai idea di che clima c’è,
si lavora con un impegno che in fabbrica ho visto raramente,
a volte capita qualche screzio, è ovvio, ma tutto fila liscio che è una bellezza
C’è qualche errore, rarissimo: iersera per esempio
è tornato indietro un piatto di grigliata
perché volevano il coniglio in porchetta
e qualcos’altro che non ricordo (patate fritte fredde, mi pare)
ma ‘ste cose succedono rare volte
e quando capitano Mauro guarda e sta zitto
ma è come una frustata.
Domenica arriva Berlinguer (Luigi, il fratello)
solo a sentire quel cognome ci tremano i polsi,
credo che sia stato il Segretario più amato
e poi eravamo qualcuno, eravamo comunisti!