lunedì 8 maggio 2017

I vichinghi 2

Domani è il nove di Maggio e m'è venuto in mente stamattina
che in questo periodo secchezza inventiva e di sfiga
avrei potuto pubblicare un raccontino già messo sul blog 4 anni fa,
chissà se qualcuno se lo ricorda?!
Se vi pare una minestra riscaldata ditemelo subito che scancello
(si, con la esse perchè mi piace di più)


Ho tirato giù “I vichinghi”, e l’ho rivisto, mi pareva impossibile, era del ‘58
ma sono sicuro di averlo visto dopo, almeno due o tre anni dopo,
perché ero già amico con Dal Foco e quando siamo tornati a casa sua,
dopo il film, ci siamo messi a tirare l’accetta
che il padre usava per spaccare i ciocchi di legna,
la tiravamo sul portone della cantina,
ad un certo punto l’accetta prende in un ferro,
rimbalza e lo colpisce su una gamba,
presi dal gioco continuiamo a tirare ancora,
un tiro a testa, finché la Manuela si accorge del sangue su una scarpa di Giorgio,
a quel punto ci fermiamo a controllare la ferita,
è un bel taglio e adesso gli fa male
ma la paura dei rimproveri dei genitori è più forte del dolore
e allora si decide di tenere tutto segreto,
io e Manu ci impegniamo a curare la ferita,
nessuno saprà mai niente.
Da quel giorno ci improvvisiamo dottori e curiamo il nostro amico
con bende e alcool presi in casa di nascosto.
E’ quindi da quei giorni che, non ricordo come, comincia la nostra storia
che ci vede ad inventare giochi che alla nostra età erano insospettati dagli altri amici,
ci si incontrava di pomeriggio a casa di Dal Foco, che era in affitto dalla Manuela,
e poi, se arrivava lei, si scendeva di sotto.
Mai che ci fosse stata rivalità, solo amicizia e condivisione in una serenità
che ancora oggi mi stupisce e mi fa tornare dentro qualcosa che non so definire
e che mi dà ancora una nostalgica tenerezza e voglia di solitudine.
Continuiamo ad incontrarci finché un giorno Giorgio ci dice che torna a Cesena
perché il padre ha ripreso a lavorare lassù. 
Ricordo benissimo quel pomeriggio in cui abbiamo pianto tutti tre 
consapevoli che per l’ultima volta saremmo stati insieme.
Per parecchio tempo non ci siamo visti, io e Manu, 
come se l’aver perso uno di noi ci avesse separati tutti tre.
Ci siamo ritrovati fuori di casa sua che eravamo ormai adolescenti la seguo,
nella cantina che era di Giorgio è rimasto tutto com’era,
il canterano, la catasta di legna la tavola per salare il maiale appesa al muro,
una statuetta della madonna col mantello azzurro e qualche attrezzo in giro,
siamo stati lì, per non so quanto e dopo sono uscito dalla porta dei Vichinghi,
la nostra porta che da sul vicolo sotto l’arco, “Torni?” “Si”.
Siamo andati avanti così, per tutta l’adolescenza.
Ci si vedeva anche solo per stare seduti a raccontarci le nostre cose,
le speranze di ragazzi, le partite della domenica, la scuola e gli amori
e ci si rideva sopra come quando il Riccio andava a baciare l’anello al vescovo
mentre passeggiava leggendo il breviario 
per prendere i cioccolatini o i biscotti della POA
da portare in regalo alla Manu.
Alla prima peluria che mi comparve mi disse “Sei uomo”,
feci finta di niente ma non stavo nella pelle.
Ormai studiavo fuori e i nostri incontri erano solo per le grandi feste
e a volte nemmeno in quelle.
I miei amici erano venuti a sapere della cosa e a volte ci scherzavano su,
Manu non era bellissima e anche un po’ sovrappeso,
aveva avuto qualche insuccesso affettivo
e nei nostri incontri ormai occasionali ne parlavamo.
Le nostre strade erano ormai segnate e non ci si vedeva quasi più,
le poche volte che ci si incontrava bastava un cenno
e la porta dei Vichinghi si apriva con qualche cigolio,
ora non ci fermavamo più di sotto
ma salivamo fin da lei a raccontarci le nostre vite.
Per la festa d’addio al celibato eravamo tutti alla Rocchetta
e ad un certo punto spunta lei,
mi viene incontro e mentre si siede al nostro tavolo
gli altri si alzano e se ne vanno.
Era da tempo che non ci si vedeva, si sta li,
si parla un po’ finché si fa tardi,
si va tutti a casa tra risate e sfottò, ma quando restiamo soli
entriamo ancora per la porta dei Vichinghi e si va su a parlare.
“Perché non hai preso me?”
“Ma che te ne fai di uno come me!”
“Perché, lei che se ne fa?”
“Ma io sto dietro una scrivania, che aiuto ti do nella bottega?
Mi ci vedi a vendere fili e bottoni?
A te ti ci vuole uno che stia li e ti dia una mano…”
“Sei stronzo, dimmi che non mi vuoi bene e ci credo
ma non dirmi che mi tocca rimanere zitella per colpa della bottega dei miei”
“Non è vero, ti voglio bene ma la vita è andata così,
non so nemmeno se domattina mi presento in chiesa”
Quella sera Manu mi accompagna alla porta, giù in fondo alle scale
in un silenzio inutile che i genitori ormai conoscono e sanno anche chi sono io.
Chissà perché queste cose segrete riescano sempre ad essere di dominio pubblico.
“Tornerai”
“Ogni volta che lo vorrai”
“Domattina vengo in chiesa, ciao”
“No,dai così non mi aiuti”
“Vengo lo stesso”
Nove Maggio, Domenica, anche stamattina riesco a far tardi,
quando arrivo lei è già lì, sotto i portici della chiesa 
è davvero carina, ha tolto gli occhiali e s’è messa le lenti a contatto,
un cappellone bianco che fa fatica a starle in testa per via del vento
ride felice e le si vede quell'incisivo un po' storto che pare bello anche lui
e intorno un sacco di gente che ci fa festa.
Manu in forma smagliante con un vestito rosso che svolazza
e pare una bandiera in mezzo a uno sciopero della CIGL.
“Sei stato da lei iersera?”
Una fucilata in pieno petto, come cazzo lo sa? Da quanto lo sa?
Cerco una via di fuga, se mi fa una scenata qui in mezzo scappo in sacrestia,
ho paura che qualcuno capisca e sorrido guardandomi intorno
“Da lei chi?”
“Testa di cazzo!”
Prendo mamma per un braccio e entro, lei mi guarda e capisce che qualcosa non va
ma sta zitta e mi accompagna fino in cima.
“Vuoi tu sposare……
“Si, Si, (che tanto se non mi ha ammazzato adesso non mi ammazza più
e speriamo che dica di si anche lei)”.

Non ho più visto Manu,
so di lei che si è sposata con un fornaio di San Giovanni in Marignano,
adesso è vedova, ha due figli, e vive al nord, …come può.
La bottega in paese la manda avanti il fratello
e lei non torna mai, proprio come me.

E’ il giorno di Natale e si va un po’ a spasso per il paese a smaltire il pranzo,
i figli ormai grandi vanno per conto loro,
ed è bello passeggiare soli con poca gente in giro.
“Entravi da qui”
Il portone è vecchio e il legno in basso è ammuffito e spaccato,
due anelli, una catenella arrugginita e un lucchetto sostituiscono la serratura,
segno che da lì si passa di rado
e pensare che una volta era sempre aperto, bastava alzare la levetta e spingere,
chissà come sarà dentro.
“Non molli mai tu”
“Tu molleresti?”
“Certo! L’ho fatto quando t’ho sposata”
“Testa di cazzo!”.


6 commenti:

  1. hai sposato quella che sa tenerti testa :)

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  2. Bello, bello. L'ho riletto tre volte di fila. Ambiguo al punto giusto, intrigante, vero e sensuale.

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  3. Amanda, e te? Hai sposato quello che sa tenerti testa?
    Migola, grazie, chi mi adula ha sempre la mia massima stima. :-)

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  4. 31 dicembre 2012 Me lo ricordavo: l'avevo commentato per prima e confermo quello che ho scritto allora ;)

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  5. Ciao Lù
    Pare che siamo rimasti davvero in pochi da ste parti.

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