venerdì 31 agosto 2012

Gina


 

Babbo e mamma s’erano separati e a me m’avevano bocciato a geometri.

In realtà avevo smesso di andare a scuola dai primi di maggio

e, quando i preti del collegio lo impararono

mi riempirono di botte, ma a scuola non andai lo stesso.

Babbo mi volle con sè in alta Italia e mi iscrisse al Liceo Artistico di Verona,

perché era l’unica scuola che a fine ottobre accettò una iscrizione.

Una notte, passando in macchina per la città,

pensando di svolgere una lezione di educazione sessuale babbo se ne usci con:

“Vedi Paolo, quelle sono le peripatetiche”

Quasi ridendo gli chiesi: “Sono uguali alle putane che ci sono da noi?”

Guadagnai quella sera il primo affettuoso “vaffanculo” da mio padre.

 

Quando venne approvata la legge proposta dalla socialista Lina Merlin e altri,

Gina Rompietti di Anagni  si trovava in un casino di Verona e lì restò;

prese due stanze in affitto e si mise ad aspettare in uno dei bar più in vista della città, in via Mazzini, il salotto buono.

Non dovette aspettare molto, infatti, il padrone del bar:

visto quanto la signora scolava a credito, fece due conti

e l’assunse come donna delle pulizie. La Gina accettò:

in fondo era un lavoro pulito e poteva benissimo arrotondare a casa.

Quando arrivai io, un pomeriggio tardi, mi si presentò all’uscio una donnina graziosa, col rossetto che le arrivava a metà guance, una fascia in fronte,

i vestiti di qualcun altro e le scarpe col tacco.

Le chiesi della padrona di casa e le dissi che mi mandava Savino.

Lei, sfoggiando un perfetto dialetto veneto romanesco, disse “ La signora so io, tu si er puteleto?  Sito culaton? ”

“ Si, cioè no, …, sono il compagno di scuola di Savino e non sono culatone”

“ Fanno 45 mila lire al mese, c’hai li sordi? “

“ Il prezzo va bene, ma non c’ho una lira,

se mi dai una mano a trovare un lavoro ti pago”

E’ così che è cominciata la mia storia in casa della Gina.

Siamo andati avanti per quattro anni, tra i migliori della mia giovinezza,

andavo a pulire gli appartamenti appena costruiti, aiutavo nei traslochi,

facevo lavoretti da fattorino e quant’altro capitasse da fare

per non pesare troppo su quelli di casa.

Una delle prime sere che stavo lì, arrivano quattro o cinque “signore”

che mi fanno un sacco di complimenti e io, frastornato dalla compagnia un po’ strana, tenevo pitturato in faccia un sorriso di circostanza,

tanto che una delle suddette ebbe a dire “ Xelo semo? “ 

Quando se ne andarono la Gina mi spiegò che erano delle ragazze che stavano in strada,

mica come lei che era una signora e stava a casa sua!

Col tempo imparai a conoscere almeno una ventine delle bellezze che la sera,

prima di andare a lavorare, passavano a farsi un brulé da noi.

Quella con cui presi più confidenza era la Bruna, una ex collega della Gina,

(facevano la quindicina assieme nei casini ) lavorava davanti alla caserma e,

aggiustandosi il davanzale o dandosi delle pacche sulle natiche, urlava ai soldati

“Xe tuta saluteee, senti che roba ! “

passata da tempo la sessantina,
quella “roba” non doveva essere il massimo della qualità

ma lei era convinta che così si rimediava lavoro

e non è escluso che qualche soldato, disperatamente solo….

Col tempo si era fatta l’idea che sarebbe stato meglio per tutti

(lei e i suoi soldati ) se avesse lavorato dentro la caserma

e allora un giorno andò a parlare col comandante.

Quando ci incontrammo era incazzata nera perché il comandante

le aveva detto che non c’era lavoro per quello che proponeva lei,

tutt’al più qualche lavoretto di pulizie negli uffici si poteva trovare, 

sembra che lei, in un impeto d’orgoglio gli abbia risposto:

“ Mi sior comandante son putana, mica sguattera!”
Precisazione che nemmeno i Segretari Generali della CIGL
avrebbero potuto rivendicare con tanto orgoglio.   

Con la Bruna andavamo in giro la domenica mattina, lei mi faceva da Cicerone.

Non che se ne intendesse del patrimonio artistico di Verona,

ma ad ogni palazzo mi illustrava i vizi e virtù degli abitanti,

anche con dovizia di particolari: il notaio preferiva fare quella cosa,

el dotor la faceva salire per altri servizi e così via.

Lei quella gente la conosceva tutta  perché a lei confidavano le cose più personali.

In fondo la sua era una missione

e sono convinto che si sentisse anche orgogliosa del suo ruolo.

Si pranzava in qualche bettola di amici suoi e mi raccontava la vita

che si faceva nelle quindicine.

Ormai ci conoscevano e qualcuno le chiedeva se avesse trovato il moroso, ma

lei rispondeva con un “ va in cul “ e che ero il suo “nevodo”.

La Bruna aveva anche un cliente fisso, “el vecio”

che ogni settimana l’andava a trovare: si chiudevano in macchina

e lui le accarezzava i piedi complimentandosi per la loro bellezza,

I complimenti dovevano aver raggiunto l’obiettivo,

perché Bruna andava fiera dei suoi piedi e metteva solo scarpe molto aperte

“Perché”, diceva “la gente i ha da vedar”.

Ero così attaccato alla Bruna che il primo amore veronese che ebbi gliela presentai,

capii al primo istante che non fu un’idea felice

e già dalla stessa sera ero alla ricerca del secondo amore.

Per tutto il mio soggiorno veronese ho frequentato la Bruna

che mi trovava i lavori migliori e io la ripagavo con bevute al “botegon del vin”

in fondo a via Mazzini o pizze al “Panpan” la pizzeria dei portoni Borsari. 

Una sera tutta la classe fu invitata a cena da Paolo che abitava vicino ai bastioni,

uscimmo di casa ormai a notte e in strada c’erano già le lavoranti.

Le prime due che mi salutarono non mi fecero fare una gran figura coi miei compagni

 ma poi cominciai a presentarle.

Ci fermammo tutti nella postazione dell’Armida

a metà strada tra Porta Nuova e Porta Palio, dopo un po’ arrivarono anche le altre

e le ragazze che erano con noi presero confidenza con le signorine,

rimanemmo in loco per almeno un’ora

tante erano le domande che le mie compagne di scuola

tenevano in serbo da chissà quanto tempo.

Le mie amiche lavoratrici davano risposte dapprima un po’ vaghe

ma poi presero in mano la situazione e, forse per l’unica volta in vita loro,

salirono in cattedra dando ampi ed esaustivi riscontri alle richieste più strampalate.

Ogni tanto arrivava un cliente e le ragazze lasciavano il simposio 

per poi tornare di corsa a fine lavoro

quasi per paura di essersi persa qualcosa di importante.

Tornando ai primi giorni di soggiorno dalla Gina,

una sera arrivarono insieme alle ragazze solite, altre molto più giovani,

tre figliole da mozzare il fiato. Impensabile che fossero colleghe: altro aspetto,

portamento e glamour da gran donne.

Parlammo per un po’ finché uscirono con Savino

e io rimasi a bocca aperta per lo stupore di vedere un mio compagno di classe

che conosceva simili bellezze.

A notte Savino venne in camera mia a dirmi di non dire a scuola di quelle ragazze:

non gli piaceva che si sapesse,

mi sembrò una stranezza ma Savino un po’ strano lo era.

Non lo dissi mai: è questa la prima volta che ne parlo, giuro!

Ricordo che una si chiamava Giulia, e un’altra Violetta; dell’altra non  ricordo il nome,

ma quando seppi che erano “maschi” mi venne un colpo.

Anche con loro feci amicizia ma quando ero insieme ai miei compagni di scuola

evitavo accuratamente la zona del Ristori dove c’era un bar in cui le signorine

(si fa per dire) passavano la giornata.

A casa di Gina si stava benissimo, ovvero,
i primi quindici giorni del mese si stava benissimo,
pollo in gelatina, torte e pietanze mai mangiate prima,
quando finiva i soldi era un disastro.

La sera tornavo a casa e lei ubriaca stava seduta davanti al gas a guardare una pentola

dove dentro c’era tutto quello che aveva trovato per casa: patate, insalata, carote e …

Quando era così le dicevo che cenavo fuori e uscivo tra le grida della Gina

che ormai aveva preparato la “cena ” e le toccava buttarla
Le urla e le invettive finivano sempre con la frasetta
"Sciacquate da li cojoni" che era ormai diventata un detto di tutta la classe.

Al ritorno, di solito, la trovavo seduta sul water che dormiva e,

siccome il sanitario mi serviva, la tiravo su, la parcheggiavo sul bidet

e, terminato l’uso, la risistemavo dov’era prima.

Lei continuava a russare per tutto il tempo

e quando si svegliava, andava a dormire da sola nel suo letto.

Savino tornava sempre dopo di me e, siccome non la rimetteva mai a posto,

mi dovevo alzare e farlo io perché il bidet le faceva male nelle cosce

e quando si svegliava steccava svegliando tutti finché non le era passato formicolio.

Ogni tanto arrivava a casa un signore col quale la Gina si soffermava sull’uscio a contrattare.

Lui si lamentava perché lei aveva sempre bisogno di soldi

e le diceva che doveva farci pagare di più, lei gridava che “I puteleti nun se toccheno”,

finite le trattative andavano in camera della e ne uscivano poco dopo

con lei che lo aiutava a rassettarsi e, quando ormai era fuori di casa,

gliene diceva di tutti i colori, “Xe più cornuto de mi marìo”

( pare che avesse un marito a Genova ma non ne parlava mai ).

Giuseppe, il cognato di Valeria, una mia compagna di classe,

al tempo era l’incaricato dell’ENEL per staccare i fili della luce

e ormai era di casa da noi, in verità non l’ha mai staccata

e, quando arrivava, pregava la Gina di pagare,

“Dame i schei che te la pago mi” e allora facevamo la colletta per pagare Giuseppe

e non si riusciva mai a raggiungere la cifra e allora il mancante lo metteva lui.

Ogni volta che vado a Verona vado a trovare Giuseppe che ormai è in pensione

e ultimamente ha avuto qualche problema di salute: è una persona buonissima

e a volte parliamo della Gina e di quei giorni.

Per ovviare alla mancanza di soldi della seconda quindicina del mese,

convincemmo la Gina a prendere una casa più grande e affittare altre due stanze,

fu così che cambiammo casa e arrivarono ospiti un cameriere e un ferroviere

con sua moglie.

Il cameriere ci portava la cena tutte le sere verso le dieci,

un po’ tardi ma sempre meglio che digiunare

in cambio se la faceva con la moglie del ferroviere che era sempre fuori in treno (lui),

si incontravano al ritorno dal ristorante e stavano dieci minuti in camera.

Con Savino ci ridevamo su e lo chiamavamo “il rapido di mezzanotte”.

 

Fu durante il trasloco che, andando nella vecchia casa a prendere un po’ di roba

trovai la Gina davanti alla bombola del gas alla quale si stava bruciando il tubo,

lei immobile, in piedi, sopra una pozzanghera di pipì che s’era fatta addosso.

Mi venne istintivo chiudere la bombola e d’un tratto tutto fu a posto.

La Gina mi guarda e mi fa: “Puteleto, li mortacci tua, me gheto salvà la vita”;

mi sviene addosso e cadiamo tutti due per terra.

Quella sera ho fatto la doccia più lunga della mia vita!
Stavamo benissimo, abitavamo in via San Mamaso, dietro Piazza Erbe,

dove tutte le mattine passavo a fare colazione con un bombolone appena fritto,

e il pomeriggio, al ritorno dal lavoro, passavo davanti al Monte di pietà

dove c’era la signora che stava seduta fuori dalla porta e il marito che stava dentro

a leggere il giornale seduto alla scrivania.

A volte mi chiamavano e mi davano qualcosa che la Gina aveva appena impegnato

(erano così in confidenza che non le lasciavano nemmeno la ricevuta),

io la pagavo e la riportavo a casa, ovviamente l’arpia e il marito

lo facevano solo per riavere subito i soldi dell’impegno

non certo per un gesto di umana solidarietà, 

io mi incazzavo con la Gina perché se aveva bisogno di soldi poteva chiederli,

perché andare a comprarsi una radio o un ferro da stiro per impegnarli? 

Lei rispondeva :“Cossa vuto, ce sso bbituata” (mezzo veneto e mezzo romano)

però le cambiali che firmava per comprarsi la roba non le pagava

e allora arrivava l’ufficiale giudiziario a fare il pignoramento.

Ormai era di casa anche lui e, su suo suggerimento

avevamo fatto una dichiarazione in cui dicevamo

che i mobili delle camere erano proprietà di noi ospiti della casa,

così lui arrivava, prendeva un caffè, stava li una mezz’oretta con la Gina

e poi se ne andava.

In quel periodo soffrivo di violente tonsilliti con febbri altissime

non so quanto alte perché non avevamo il termometro ma erano alte, garantisco.

Un pomeriggio mi vengono a trovare Novella,

una di Roma che la Gina conosceva già

Laura, Valeria e Paola mie compagne di classe,

ad un certo momento si presenta la Gina con un piatto di frutta

e chiede chi ne voleva, le ragazze rifiutano e lei insistendo con Novella le dice

“ Magna Novè ce stanno pure le bbanane, guarda pargono li cazzi”

Le ragazze giurano di avermi sentito urlare,

io ricordo che mi son voltato verso il muro dalla vergogna

prima o poi dovremo consultarci per bene per ricordare esattamente il fatto.

Il tempo passava ed ero all’ultimo anno,

fu durante gli esami di maturità che una sera,

guardando lo sbarco sulla luna alla televisione,

dopo il famoso saltello sul suolo lunare,

la Gina si alza dalla sua sdraio, barcolla fino alla finestra,

l’apre e, in perfetto romanesco,

come quando diceva le cose davvero importanti, dice:

“A chi lo vonno fa crede, mica semo fessi, stasera la luna manco cce stà”.

Purtroppo fui promosso e dovetti tornarmene al paese.

Tornai qualche anno dopo a trovare la Gina insieme a Bruna mia moglie

(meglio specificare che non è la signora di cui sopra),

Trovammo la moglie del ferroviere in vestaglia:

probabilmente il cameriere non aveva ancora cominciato il lavoro al ristorante

e la Gina con una delle sue migliori sbornie,

il rossetto sparso per tutto il viso, come un quadro di Picasso,

e i capelli arruffati tenuti insieme dall’immancabile fascia sulla fronte.

Sull’uscio di casa le presentai mia moglie,  lei non mi riconobbe 

e allora la salutai con un “Arrivederci signora” e me ne andai.me ne andai.

7 commenti:

  1. Bei ricordi e comunque una gran bella storia vera.

    RispondiElimina
  2. “A chi lo vonno fa crede, mica semo fessi, stasera la luna manco cce stà”
    Bellissima!!
    E bellissima storia, c'è bisogno di storie come queste che ti riportano a persone con una vera umanità!


    RispondiElimina
  3. Grazie del vostro commento,
    ci tenevo ad averlo.
    Ciao a tutti due

    RispondiElimina
  4. Finalmente ti sei deciso a pubblicarla, ma quella del Viturìn che fine ha fatto? ;) Guarda nella posta per gli altri 3 che mi hai mandato.

    RispondiElimina
  5. Arriva, aspetta qualche giorno,
    vedrai che arriva.

    RispondiElimina
  6. Oltre a quello di aver conosciuto personaggi notevoli, hai il dono della narrazione, di far partecipare il lettore agli eventi che rievochi, facendogliene assaporare l'atmosfera: i colori i profumi i suoni vengono fuori dalle tue parole, divertono ed emozionano. Altro che Amarcord!
    ciao Nina

    RispondiElimina
  7. Azz che sviolinata!
    Domani vado da Mondadori e se non mi riceve faccio il tuo nome.

    RispondiElimina